Con un’alta partecipazione al voto, il Psuv del presidente bolivariano conquista 18 governatori su 23.

I l 15 ottobre, in Venezuela, si sono tenute le elezioni regionali, e il Partito socialista unito (Psuv) ha vinto in 18 stati su 23. Nel ventiquattresimo, Districto Capital, che ha statuto speciale, non si è votato. Per tutta la campagna elettorale, i media avevano diffuso statistiche e pronostici sulla crisi terminale del chavismo, prevedendo risultati inversi. Tutti scommettevano su un livello di astensione altissimo. Invece su 18 milioni di aventi diritto e 31,5 milioni di abitanti, ha votato il 61,4%: il 7,2% in più rispetto al 2012, quand’era ancora vivo Chavez.

Il voto regionale vale per quattro anni. Si sarebbe dovuto svolgere l’anno scorso, se l’opposizione – maggioritaria in parlamento dal 2015 – non avesse impegnato l’organismo elettorale (il Cne) in un defatigante quanto illegale braccio di ferro per cacciare anzitempo l’ex sindacalista Maduro dalla presidenza. Anche quest’anno le destre hanno provato a mettere in atto il loro programma – liberarsi di Maduro – con quattro mesi di violenze che hanno provocato 120 morti: molti dei quali bruciati vivi dai “pacifici manifestanti in lotta contro la dittatura”.

Poi però l’alleanza di opposizione (la Mesa de la Unidad democratica, Mud) ha deciso di presentarsi alle regionali, lasciando di stucco la parte più oltranzista. Dopo aver screditato il Cne e la costituzione, la Mud ha accettato di andare a votare con lo stesso sistema elettorale e la stessa “dittatura”. In tasca, però, le destre avevano il solito copione: se avessero perso, avrebbero gridato ai brogli facendo saltare il tavolo. In caso di vittoria, avrebbero proceduto come uno schiacciasassi per cancellare le conquiste della “rivoluzione bolivariana”: mediante la sovversione interna e con l’appoggio internazionale.

Quello del 15 ottobre avrebbe dovuto essere un plebiscito contro il governo. Le urne hanno invece consegnato alla Mud solo cinque stati: Zulia, Táchira, Mérida, Anzoátegui, Nueva Esparta. Tre di questi (Mérida, Zulia e Táchira) costituiscono però ricche zone di frontiera con la Colombia. E già circola un appello alla secessione. La Mud ha vinto due stati in più rispetto alla precedente elezione, quando aveva ottenuto solo Amazonas, Miranda e Lara. In questi ha invece ora subito una batosta storica. Miranda è il secondo stato per numero di elettori (oltre due milioni). E’ quello in cui ha governato l’ex candidato antichavista Henrique Capriles, del partito Primero Justicia, inabilitato per corruzione. Al suo posto si è presentato Carlos Ocariz, che ha infiammato le reti sociali per le dichiarazioni xenofobe sugli “operai negri che puzzano”. Ora ha vinto il giovane Héctor Rodríguez, del Psuv, imponendosi con il 52,54 % contro il 45,92 %.

Il 15 ottobre, la partecipazione elettorale in Venezuela è stata superiore a quella delle regionali in Messico (53,70%), in Colombia (60,28 %) e in Cile (49,25 %). In 18 anni di governo, il chavismo ha organizzato 22 elezioni e ne ha perse due. Una lezione di democrazia. Ma non è la democrazia che piace a Trump, all’Europa e ai governi neoliberisti dell’America latina. Qual è il livello di credibilità di Manuel Santos, presidente di una Colombia in cui puoi essere ammazzato impunemente per aver difeso la terra, il posto di lavoro o il diritto a informare? Eppure dà lezioni al Venezuela, insieme ad Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), grande sponsor dei golpisti venezuelani. Non riconoscono le elezioni regionali, pretendono di cambiare tutte le regole del gioco fino a far sedere sulle poltrone governative – portandoceli per mano perché non sono capaci di governare neanche la sedia su cui sono seduti – i loro protetti dell’opposizione.

Ora i quattro governatori del partito Acción democratica, che hanno vinto nel Táchira, Mérida, Anzoátegui e Nueva Esparta, hanno accettato di prestare giuramento davanti al massimo organo plenipotenziario, l’Assemblea Nazionale Costituente (Anc). La Mud si è spaccata.

Il presidente del parlamento Julio Borges (Primero Justicia), corre all’estero per gridare ai brogli, anche se nessuna denuncia è arrivata davanti al Cne. Esistono invece le firme di tutta l’opposizione, che ha sottoscritto le verifiche del sistema elettorale, considerato a prova di frodi. Il quinto governatore, Juan Pablo Guanipa, vincitore nel Zulia per il partito di Borges, non ha accettato di giurare davanti all’Anc. “Non mi inginocchio davanti alla costituente cubana”, ha detto Guanipa. Ovvio – ha ribattuto la sinistra – preferisce inginocchiarsi davanti a Trump.

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