Il modello della “grande coalizione” tra socialdemocratici e popolari, spazzato via dal voto in Germania, termina anche in Austria, in forme diverse e più preoccupanti. Il risultato austriaco infatti mostra uno spostamento a destra molto più evidente, con conseguenze ancora imprevedibili, non solo sul piano delle politiche sociali e democratiche, ma anche sul piano internazionale: il rischio di una saldatura con i governi di Orban in Ungheria e del Pis in Polonia è oggi molto più concreto.

L’Austria veniva dalla campagna per l’elezione del Presidente della Repubblica, vinta nel dicembre 2016 dal verde Van der Bellen sul candidato dell’estrema destra Hofer, che comunque otteneva il 46%. Peraltro il Partito della libertà austriaco (Fpo) – forza xenofoba che fu di Heider – era comunque primo in tutti i sondaggi. Mentre i due partiti al governo – Spo e Övo – erano in caduta libera.

Una costante perdita di voti e consenso sia per i socialdemocratici che per i popolari, l’incapacità dei verdi di raccogliere l’insoddisfazione verso i due principali partiti, l’ascesa irresistibile della destra del Fpo, una destra “liberale” in movimento e in cerca di nuovi rappresentanti: questo il quadro della situazione prima del voto.

Poi la figura chiave: il giovane Sebastian Kurz, ministro degli esteri dal 2013, aveva da tempo cominciato a scompaginare il quadro politico: già nel 2015 chiedeva di chiudere la rotta balcanica ai rifugiati siriani; poi sono arrivate le sue esternazioni sulla chiusura del Brennero per impedire l’accesso ai rifugiati provenienti dall’Italia – costringendo il cancelliere Kern a smentite e scuse, ma di fatto imponendo il ripristino dei controlli alla frontiera, almeno per chi ha la pelle di un colore troppo scuro – e in parallelo il suo forsennato attacco alle Ong impegnate nei soccorsi in mare.

La sua crescente ambizione e popolarità lo ha portato ad assumere la guida del partito (i vecchi potentati del Övp, rilevanti soprattutto a livello regionale, cedono il passo dopo anni di declino elettorale) e a rompere la coalizione di governo, aprendo la campagna elettorale. Fatta al grido di “Ora o mai più!” e “La nuova strada”, occupando apertamente lo spazio politico finora dell’estrema destra, sia sulle politiche dell’immigrazione, sia proponendo un taglio alle politiche di welfare.

A trovarsi spiazzata è stata proprio l’estrema destra dell’Fpo. Il leader dei ‘blu’, Strache, ha dovuto condurre una campagna leggermente diversa dal solito, all’insegna della domanda di “fairness!” (equità) per l’Austria, finora “preda del parassitismo di socialdemocratici e popolari,” ma anche su una piattaforma di riforme economiche di stampo liberista.

Sono questi i due partiti in procinto di formare il nuovo governo. Assieme al partito degli ultraliberisti dei Neos si profila anche una possibile maggioranza dei 2/3, in grado di modificare la Costituzione e le norme di rango costituzionale che definiscono il “partenariato sociale”, l’esistenza stessa dei contratti collettivi nazionali, l’esistenza di “Camera del lavoro” e “Camera delle imprese” (istituzioni pubbliche), temi comuni nel programma di questi tre partiti.

Per la prima volta da molti anni i due partiti tradizionali non perdono comunque voti: il partito di Kurz va al primo posto con il 31,5% (+7,5%), ma anche i socialdemocratici hanno retto, pur perdendo la leadership. Con una campagna basata sul piglio manageriale e l’esperienza incarnati dal cancelliere Kern, l’Spo ha soprattutto beneficiato del voto utile di quanti temevano il primato dell’estrema destra e del tradizionale sostegno dei lavoratori delle generazioni meno giovani.

Fuori dal parlamento invece i Verdi, che erano stati l’unico partito a non cedere alla tentazione di un riposizionamento sui temi caldi dell’immigrazione e dell’austerità. Ma pagano una serie incredibile di errori politici, o di cattiva gestione dei conflitti interni, che hanno portato alla scissione guidata da uno dei suoi fondatori, Pilz, la cui lista entra in parlamento. Ma senza di lui, che rinuncia travolto da uno scandalo di molestie sessuali emerso dopo il voto.

Se nel 2000 l’ingresso del partito di Heider al governo a guida Övp scatenò reazioni durissime anche della Ue, oggi non si intravede un simile sussulto. Una parte importante della partita si giocherà comunque a Vienna, che rappresenta, anche a queste ultime elezioni, uno degli ultimi baluardi della sinistra intesa in senso ampio: gestione pubblica di acqua, energia e trasporti; modello di convivenza e multiculturalità; qualità della vita. L’attacco a questo modello è una priorità del nuovo governo. Ma da qui si può anche ripartire per costruire un’alternativa. Per farlo bisogna affrontare le criticità che il blocco di potere socialdemocratico ha prodotto, lanciando un modello di municipalità di tipo nuovo, più inclusivo e democratico, soprattutto per le fasce popolari.

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