Nella ricca e civile Lombardia, regione fra le più importanti d’Europa per tutta una serie di indicatori sociali ed economici, nei primi nove mesi del 2017 ci sono stati 94 incidenti mortali sul lavoro. Solo a Milano ce ne sono stati 29. Una strage. Questi dati, di per sé terribili, sono stati meritoriamente ricordati quando, il 16 gennaio scorso, alla Lamina Spa ben quattro operai hanno perso la vita. Per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sullo stillicidio degli omicidi bianchi, due giorni dopo la Fiom ha proclamato lo sciopero della categoria nella provincia di Milano, e ha organizzato un corteo di protesta che ha visto l’adesione delle altre rappresentanze sindacali della categoria metalmeccanica.

“In questo paese – hanno tirato le somme i lavoratori in corteo - capita troppo spesso di andare una mattina al lavoro e di non fare ritorno a casa. Non basta l’attenzione per qualche giorno e il cordoglio in occasione di una strage. Noi vogliamo di più”. In altre parole c’è la richiesta – sacrosanta - che la questione della salute e della sicurezza sul lavoro diventi una priorità di tutti. A partire, ovviamente, dalle imprese. Al tempo stesso, che si attuino azioni concrete, in primis da chi le leggi le fa (Parlamento e governo), per impedire che sul lavoro si muoia. Perché il diritto alla vita è un bene assoluto, che sia imprese che le istituzioni dovrebbero garantire, a priori.
Ma ormai non è garantito niente. Né la scuola, né la sanità. Tantomeno il lavoro, visto lo stato delle cose. Ad esempio, nei primi undici mesi del 2017 si è generato nel paese solo un’occupazione ‘mordi e fuggi’, lo dimostrano le rilevazioni dell’Inps: il dato relativo alla crescita delle cessazioni dei contratti a tempo determinato, pari al 24.2%, è pressoché identico a quello delle assunzioni, pari al 26%. Questo dicono i numeri.

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