Le profonde trasformazioni che hanno investito il nostro paese, la riorganizzazione delle produzioni su scala internazionale, il peso crescente della produzione immateriale, il nuovo peso della distribuzione e dei servizi, e, infine, la “rivoluzione” digitale, accompagnate da una legislazione ultraliberista con la deregolazione dei diritti, ci consegnano una classe lavoratrice frammentata e divaricata per reddito, condizioni di lavoro, conoscenza dei processi produttivi. Una classe duale.

L’unica cosa in comune fra garantiti (lavoro a tempo indeterminato, salario e orario contrattuali, welfare contrattuale e aziendale) e non garantiti sta nella fragilità della condizione dei primi (il licenziamento come fine di tutto), e nella certezza di miseria dei secondi. E’ ancora più necessario - e invece è andato smarrito - un sistema di valori comuni, un ideale di uguaglianza, solidarietà, socializzazione che motivi i militanti e permei tutta l’organizzazione.

Ci dobbiamo preparare ad una lunga fase di resistenza. Sarà difficile mantenere le coerenze di impostazione, e necessario esercitarsi nell’arte del compromesso, inteso come capacità di individuare i terreni migliori sui quali affrontare lo scontro, in una situazione di debolezza e di arretramento.

Nel documento “Per una Cgil unita e plurale” abbiamo provato a delineare un quadro analitico basato sulla composizione di classe, la lotta fra le classi, per contribuire ad una linea generale che abbia un respiro e non si limiti alla gestione dell’esistente. E’ il nostro contributo collettivo al dibattito di avvio del XVIII Congresso della Cgil, per arrivare a un documento congressuale condiviso.

Nonostante le nostre resistenze, sempre più cresce il peso della contrattazione di secondo livello, largamente inesigibile per la maggioranza dei lavoratori, e diminuisce il peso del contratto collettivo nazionale, la cui potestà salariale è messa in discussione. Il Ccnl tende a diventare una cornice, più che il nocciolo e la polpa del sistema di tutele e di diritti. Cresce il peso del welfare contrattuale, e si allarga la sfera di quello aziendale. Il rischio è che per la stragrande maggioranza dei lavoratori il Ccnl cessi di essere un punto di riferimento, una certezza, un punto di partenza nel riconoscimento del valore del lavoro e della professionalità.

La contrattazione avviene nella sostanza in modo difforme da come la descriviamo nei documenti: alla piattaforma rivendicativa sindacale si contrappone una piattaforma padronale che rimette in discussione, articolo 8 della legge Sacconi alla mano, la legislazione di tutela, chiedendo deroghe alle leggi su apprendistato, part-time, contratti a termine, esternalizzazioni. E che cerca di legare il salario aziendale a condizioni di variabilità di produttività o di risultato di ogni singolo anno, e di erogarlo sotto forma di “welfare” aziendale.

Nella riunione nazionale di Lavoro Società Filcams del novembre 2017, abbiamo affrontato in modo disincantato la questione, partendo dalla consapevolezza che è vitale per il sindacato, per la sua sopravvivenza come organizzazione di massa, radicata nei luoghi di lavoro, accettare compromessi rispetto alle politiche rivendicative aziendali e contrattuali. Non possiamo chiedere al settore garantito di rinunciare a tutele, in nome di una astratta eguaglianza delle condizioni, per poter usare risorse e mezzi, resi disponibili dalla affiliazione sindacale dei primi, per organizzare il settore sempre più vasto dei lavoratori senza diritti e tutele. Per questo condividiamo il valore strategico della “Carta dei diritti”, che parla a tutte e tutti in una logica estensiva e non perequativa.

Stiamo affrontando vertenze complicatissime, a livello contrattuale di categoria e aziendali. E’ necessaria una bussola di orientamento. Ci sono momenti in cui, alla fine di una vertenza, si può scegliere solo fra la testimonianza e la resa: in quei casi è preferibile la soluzione che consente il permanere della struttura organizzata. Questa soluzione non è facile da individuare, e dipende da ogni singolo caso.

Quando in una vertenza sindacale si vince, tutto va bene. I risultati vanno utilizzati per far crescere il consenso, le adesioni e la rappresentanza sindacale aziendale. Quando invece si perde ci sarà comunque un indebolimento e un discredito del sindacato, a tutto vantaggio del padrone. Quando si “pareggia”, le cose sono ancora più complicate: saranno sempre possibili due letture, con l’accento su aspetti diversi per conclusioni opposte.

Nei pareggi e nelle sconfitte si misura la nostra capacità di tenuta. Dobbiamo considerare l’organizzazione in sé un bene da preservare, e far vivere alle nostre delegate e delegati questo elemento come un valore fondativo del lavoro sindacale, cercando soluzioni che tengano il più possibile insieme i lavoratori. Con una spinta all’unità come consapevolezza di un’appartenenza comune, diversa da quella del padrone.

(La versione completa di questo intervento è stata pubblicata su REDS – foglio di collegamento di Lavoro Società della Filcams n. 3 – aprile 2018)

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