Di Pierre si è scritto molto in vita e anche in occasione della sua recente scomparsa, tanto la sua figura ha segnato da indiscusso protagonista una lunga fase del sindacalismo italiano. Una figura in qualche modo “irregolare”, rispetto ai canoni consueti di giudizio nella politica ma anche nel sindacato, e perciò spesso al centro di incomprensioni e di polemiche. Ma anche capace di suscitare grande consenso tra i lavoratori, ben oltre i confini della Cisl, per il suo indiscutibile carisma.

Persona di forti convinzioni ideali ispirate ad una fede religiosa mai ostentata, vissuta laicamente, al servizio degli sfruttati e degli esclusi sulle orme del cristianesimo sociale delle sue terre padane, di Miglioli e don Primo Mazzolari che tanto lo avevano influenzato nella sua giovinezza, Pierre pur mosso da una grande curiosità intellettuale è stato un sindacalista pragmatico, capace però di avanzare proposte fortemente innovative sul terreno della contrattazione e delle relazioni industriali. Basti pensare a quella relativa alla riduzione degli orari e la redistribuzione del lavoro, che torna oggi di attualità di fronte alle sconvolgenti trasformazioni tecnologiche e produttive che investono il mondo del lavoro.

Il pensiero e l’azione di Pierre hanno avuto due costanti punti di riferimento: l’unità e l’autonomia sindacale, un binomio indissolubile. L’unità comincia a praticarla a Milano, alla guida della Fim Cisl, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, al momento della riscossa operaia che reclama la sua parte del miracolo economico, sfidando gli anatemi della sua confederazione, allora su tutt’altre posizioni. Lo farà anche ricorrendo all’astuzia di proclamare scioperi e indire assemblee in concomitanza di luoghi ed orari con le analoghe iniziative della Fiom, che ne condivide pienamente i propositi. Una battaglia che porterà avanti da posizioni di minoranza nella confederazione fino ad ottenerne un radicale mutamento d’indirizzo a favore dell’unità.

Non meno determinato sarà il suo impegno per l’unità organica dei metalmeccanici, fino a celebrare il congresso di scioglimento della Fim per dar vita alla nuova organizzazione. Com’è noto questo risultato non sarà raggiunto perché la Fiom, malgrado le precedente intese, non si comporterà di conseguenza, e il percorso si concluderà con la nascita della Flm, comunque la forma più avanzata di unità a livello di categorie.

Dopo essersi tanto impegnato per il progetto unitario toccherà proprio a lui, in un ultimo direttivo della Federazione Cgil Cisl Uil, dichiararne la fine per l’inconciliabilità delle posizioni sull’accordo di san Valentino. Per Pierre ad essere in gioco, al di là del merito della questione, pur rilevante in quella fase di grave difficoltà dell’economia italiana, è il ruolo del sindacato come soggetto politico autonomo, titolato a negoziare con il governo le scelte di politica economica e sociale che incidono sulla condizione dei lavoratori, senza condizionamenti di sorta fosse pure da parte di un partito come il Pci sicuramente rappresentativo di larga parte del mondo del lavoro.

Così, quando la maggioranza della Cgil subisce questo condizionamento e si nega a firmare l’accordo, la rottura è consumata. Seguono mesi di forti polemiche nel sindacato, e ancor più tra il Pci e la Cisl, ma ciò non impedisce che quando Berlinguer muore tragicamente sia Pierre a volere che la segreteria della Cisl faccia un turno di veglia alla salma del leader comunista, con non poca sorpresa di chi ci accoglie alla Botteghe Oscure. L’anno dopo, proprio quando l’esito del referendum gli dà ragione, Pierre decide di lasciare la guida della Cisl. Convinto – e lo dice chiaramente – che è necessario riprendere il cammino dell’unità, e che non è certo lui il più adatto alla ricucitura. Anche se, lo sappiamo, le cose non saranno più come prima.

A chi, in un’intervista, gli chiede se si ritiene uomo di sinistra, risponde diretto e ironico: “Sì, perché c’è qualcosa di male?”. In effetti Pierre, anche sul piano politico, si è sempre collocato a sinistra, simpatizzando prima con Riccardo Lombardi, che proprio gli attivisti della Fim milanese hanno contribuito a rieleggere deputato quando il suo seggio era incerto, non essendo più in odore di santità presso la leadership del suo partito, e poi sostenendo il generoso ma sfortunato tentativo dell’Mpl di Livio Labor.

Lasciato il sindacato, è stato tra gli eletti socialisti al Parlamento europeo, e fondatore con Ermanno Gorrieri del Movimento dei Cristiano Sociali, formazione dei cattolici di sinistra che contribuirà alla nascita dei Democratici di Sinistra, alla stagione dell’Ulivo e infine alla costituzione del Pd. Ma senza nulla togliere al significato e al valore di questo suo impegno nella politica attiva, tornando ancora una volta al suo percorso di vita, è difficile non pensare a Pierre prima di tutto come uomo del sindacato. Come si dice: una volta sindacalista, sindacalista sempre.

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