L’accordo di liberalizzazione degli scambi tra Europa e Canada (Ceta) è ormai in vigore in via provvisoria dal 21 settembre 2017, e già sono chiari tutti i suoi limiti. Fra i principali sostenitori in casa nostra c’ erano alcuni produttori di salumi, formaggi e vino. Peccato che, come ha lamentato il direttore generale della Federazione spagnola dei viticultori (Fev) José Luis Benítez, le province canadesi, che hanno giurisdizione sulle vendite di alcolici, impongano barriere non tariffarie che rendono più difficile l’acquisto di vini stranieri a prescindere dal Ceta. La British Columbia, ad esempio, consente ai supermercati di vendere sugli scaffali solo vino canadese. Il vino straniero può essere venduto solo in “negozi all’interno dei negozi”, fisicamente separati, con accesso controllato e con registratori di cassa separati.

Il Canada ha anche un’imposta federale sul vino, cui non rinuncerà con il Ceta. I vini prodotti con uve canadesi al 100% sono esenti, e gli Usa hanno citato in giudizio il Canada presso l’Organizzazione mondiale del commercio per questa scelta. Ma nel frattempo la tassa resta, mentre in Europa il vino prodotto o importato da marchi canadesi può circolare senza più limiti.

Gli esportatori di formaggi europei, poi, sono infastiditi dal fatto che solo l’11% della quota di prodotto in più che il Canada ha concesso è stata utilizzata fino a maggio: un segnale delle barriere artificiali per rendere più difficili le vendite per i piccoli produttori di formaggio dell’Ue. Incolpano le barriere non tariffarie e gli alti costi legati alla richiesta di diritti di assegnazione per l’accesso senza tariffa. Stimano che, da quando il Ceta è entrato in vigore, gli importatori abbiano già speso 6 milioni di dollari per questi costi amministrativi, ricevendone ben poco guadagno.

Informalmente Ottawa fa sapere che se noi continuiamo a non volere grano e pasta canadesi, il problema non verrà risolto. Ma da parte europea i blocchi sono causati da comprovata presenza nei prodotti canadesi di glifosato e altri pesticidi, e alle connesse preoccupazioni dei consumatori europei.

Ma c’è di più. Se il Parlamento italiano non si affretterà a bocciare al più presto la ratifica del Ceta, arriveranno presto al Parlamento europeo altri trattati di liberalizzazione commerciale ancora più pericolosi. Il primo sarà il Jefta, il trattato tra Europa e Giappone, che in volume vale il doppio del Ceta, negoziato in assoluta segretezza e con le medesime criticità del Ceta. Contiene infatti una minima difesa di appena 18 prodotti agroalimentari di qualità, e non fa alcun riferimento all’obbligatorietà del rispetto del principio di precauzione europeo. Rischia inoltre di rendere meno stringenti le norme e gli standard di sicurezza e qualità per i prodotti e i servizi, perché crea dieci tavoli tra i regolatori dell’Ue e del Giappone, che procederanno in autonomia e riservatezza a “semplificare” il commercio tra le due parti anche su questioni che riguardano competenze nazionali come appalti pubblici, agricoltura, sicurezza alimentare, servizi, investimenti, commercio elettronico.

Tutto questo avverrebbe senza alcuna garanzia del coinvolgimento dei parlamenti nazionali. Infine il Jefta semplifica gli iter di approvazione e sdoganamento, per assicurare che le procedure per l’importazione siano completate più in fretta, eliminando i doppi controlli alle dogane che appesantiscono la burocrazia per chi commercia ma nelle cui uniche maglie, tuttavia, spesso si riescono a fermare pericolose attività di sofisticazione, frode e contraffazione (https://wp.me/a4obC5-1w6).

Non dimentichiamo che il Jefta limita, così, la capacità degli Stati europei di controllare le importazioni giapponesi di alimenti e mangimi, anche se ci sono molti casi già documentati di importazioni di mangimi Ogm illegali dal Giappone, il paese con il più grande numero di colture Ogm autorizzate al mondo, sia per alimenti umani sia per i mangimi.

Per questo è importante la ricomposizione dell’Intergruppo parlamentare “No Ceta” che ha sostenuto, trasversalmente ai diversi gruppi politici, la società civile nello stop alla ratifica del Ceta, e che si sta riattivando in vista della imminente ricomposizione delle commissioni parlamentari. Occorrerà riprendere i fili della questione per non disperdere il lavoro fatto fino ad oggi, e soprattutto per fare in modo che emerga a chiare lettere e senza equivoci il motivo per il quale il fronte dell’indisponibilità ad accettare accordi calati dall’alto non si sgretola, anzi si rafforza (https://wp.me/a4obC5-1w7).

Con la Campagna Stop Ttip Italia chiediamo a tutti i parlamentari di aderire all’Intergruppo, e di mantenere al più presto i propri impegni. Il Ceta va fermato subito e con lui tutti gli altri trattati tossici. (Per tutti gli aggiornamenti www.stop-ttip-italia.net)

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