La giunta regionale del Veneto ha approvato a fine maggio la proposta di nuovo Piano socio-sanitario 2019-2023. Un Piano che parte da un’analisi articolata dei fabbisogni, e propone finalità e obiettivi strategici in gran parte condivisibili, ma contiene diversi elementi di criticità e preoccupazione. C’è uno scarto forte tra intenzioni e situazione reale, tra programmazione degli interventi e risorse messe a disposizione.

Il piano richiama principi e obiettivi fondamentali: garanzia dell’universalità delle cure e dell’erogazione dei Lea; riduzione delle diseguaglianze di accesso; omogeneità delle prestazioni in tutto il territorio; integrazione socio-sanitaria; importanza della prevenzione; filiera della salute come ambito di sviluppo e benessere generale, da considerare come investimento e non come spesa.

La ricomposizione dei servizi intorno ai bisogni della persona, la presa in carico globale e personalizzata del paziente, la gestione multidisciplinare delle complessità cliniche, la piena attuazione dei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali (pdta), le dimissioni protette, la costituzione di una filiera dell’assistenza: questi sono tutti obiettivi condivisibili, strumenti più efficaci per una tutela complessiva della salute e del benessere psico-fisico. Ma viene assunto il vincolo invalicabile dell’invarianza dell’attuale spesa regionale, rendendo difficilmente praticabile la realizzazione del piano.

Serve invece un investimento forte su infrastrutture, assetti organizzativi e presidi territoriali, incremento ed efficace utilizzo degli organici, adeguatezza delle professionalità, con particolare attenzione alla carenza di medici specialisti. Quindi, per una piena applicazione, gli obiettivi del piano devono essere sostenuti anche con risorse integrative della Regione, al di là di un necessario rifinanziamento del fondo nazionale. La Regione non può rinviare il tema delle risorse a ipotetici scenari derivanti dai percorsi istituzionali in atto sull’autonomia.

Serve inoltre un cronoprogramma chiaro dei provvedimenti attuativi e delle relative risorse, in piena coerenza con le finalità indicate, a partire dal completamento degli interventi non ancora realizzati del vecchio piano. Non si può infatti non richiamare l’attenzione sui ritardi, le carenze e le disomogeneità che tuttora caratterizzano il territorio regionale, in particolare per le strutture intermedie e la filiera dell’assistenza, dagli ospedali di comunità alle unità riabilitative, dagli hospice alle medicine di gruppo integrate, dai centri servizi alle strutture residenziali e semiresidenziali.

E’ evidente lo scarto tra la positiva attribuzione ai distretti delle funzioni di coordinamento e di gestione integrata dei servizi, e la situazione reale di disorganizzazione e forti carenze nei fabbisogni di personale e professionalità. Serve un piano straordinario di assunzioni e di percorsi formativi per soddisfare le esigenze organizzative, i percorsi di integrazione socio-sanitaria, a partire da alcune urgenze come la prevenzione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, le cronicità, la non autosufficienza, le disabilità, la dipendenza, il disagio minorile e la salute mentale, anche per invertire la tendenza alla sanitarizzazione delle risposte. Con una maggiore garanzia anche sulla qualità dell’occupazione attraverso le stabilizzazioni dei precari, una diversa regolamentazione degli appalti, una delimitazione delle attività di volontariato, un controllo strutturato sulla regolarità dell’applicazione dei Ccnl e sull’intermediazione di manodopera, soprattutto nell’ambito del privato sociale.

Infine non è accettabile l’esclusione da prevenzione, diagnosi, cura, assistenza e riabilitazione per una fascia sempre più ampia di popolazione, o il paradosso che, per diverse prestazioni, costi meno rivolgersi a strutture private. Per questo è fondamentale un rifinanziamento del sistema sanitario nazionale, la copertura certa dei Lea, la modifica delle quote di spesa programmate in rapporto al Pil.

Ma sono altrettanto necessarie soluzioni immediate anche a livello regionale, limitando la compartecipazione, eliminando il superticket, e assumendo l’Isee per la definizione di qualsiasi compartecipazione. Poi intervenendo sulle liste d’attesa, con il blocco immediato dell’attività libero professionale in caso di superamento del rapporto con le attività istituzionali e di sforamento dei tempi di attesa massimi. Iinfine adeguando i tetti massimi di spesa per le strutture accreditate e convenzionate, favorendo una positiva sinergia tra domanda di assistenza sanitaria integrativa e offerta del sistema sanitario pubblico.

Sulla base di queste considerazioni, la Cgil Veneto sta provando a costruire una posizione unitaria da assumere come riferimento nell’interlocuzione con i diversi soggetti istituzionali, politici e associazionistici.

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