“Siamo il popolo degli indivisibili”, questo era lo spirito della manifestazione contro il razzismo che si è svolta il 10 novembre scorso a Roma. Una manifestazione aperta, numericamente ben distribuita tra italiani e migranti, caratterizzata dalla consapevolezza diffusa dell’indivisibilità della nostra società: donne e uomini italiani, donne e uomini migranti, giovani e meno giovani, famiglie che vivono e che scelgono l’Italia come meta del loro viaggio. Indivisibilità nel dare e ricevere culture per lo scambio e la contaminazione; indivisibilità dei diritti umani e di cittadinanza.

Mentre sfilavamo nel lungo corteo ho avuto la conferma dello spirito e delle motivazioni che hanno determinato la mia decisione di partecipare a titolo individuale, per la responsabilità che pesa su di me nel ruolo che ricopro, e per ciò che rappresento.

Ho visto confermare la normalità della compartecipazione e della convivenza di donne e uomini italiani e migranti, giovani e meno giovani, presenti con le loro famiglie e con i loro bambini e ragazzi, insieme ad associazioni e a rappresentanti politici e istituzionali. Tutti sfilavano con la serenità del voler vivere uniti e solidali, e con la determinazione di respingere il razzismo e le politiche pubbliche che lo alimentano, come appare chiaro esaminando il decreto Legge “Immigrazione e sicurezza”, purtroppo già votato dal Senato nei giorni scorsi.

Un provvedimento che sancisce e aggrava il profilo di uno Stato che respinge, che discrimina e crea ghetti, producendo maggiore irregolarità, e l’illegalità dello stesso paese. E che, come ha rilevato da ultimo il Consiglio superiore della magistratura nel suo parere sul testo, “presenta numerose criticità”, e non rispetta pienamente “obblighi” e “garanzie” previsti dalla Costituzione.

Questo tipo di politiche, infatti, ostacolando e negando il riconoscimento della regolarità della permanenza in Italia di migranti, profughi e richiedenti asilo, altro non producono che l’illegalità del paese, oltre che delle persone coinvolte. D’altra parte sono proprio quelle politiche che minano alle radici la coesione.

Tutti i partecipanti hanno chiesto a gran voce il ritiro di quel decreto legge, la cancellazione della legge Bossi-Fini, la regolarizzazione per tutti i cittadini immigrati già presenti in Italia, e nel contempo lo sviluppo di politiche improntate all’accoglienza e all’integrazione. Si è chiesto e si continuerà a chiedere di rafforzare e di estendere i modelli di accoglienza e integrazione che, in forma molto significativa, sono stati già praticati in diversi territori della penisola. A questo proposito, emozionante ed emblematica è stata la presenza alla manifestazione di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, il più noto fra gli amministratori locali che hanno scelto come modello di amministrazione pubblica l’integrazione, l’indivisibilità, l’inclusione e il valore delle differenze. Pratiche e modelli che vengono invece messi in discussione e smantellati.

Negli ultimi giorni abbiamo assistito purtroppo a un’altra vicenda crudele: lo sgombero e lo smantellamento del centro Baobab Experience, dove venivano assistite e ospitate circa centocinquanta persone tra migranti e italiani in condizioni di povertà. Una scelta nel solco di una politica di criminalizzazione della povertà, laddove viene praticato il contrario di ciò che lo Stato dovrebbe fare nei confronti delle persone vulnerabili, e cioè rimuovere le ragioni della loro condizione.

Siamo davanti invece a una cruda realtà di dissennatezza amministrativa e di disumanità, contro la quale sono state immediate e importanti le reazioni di numerose forze democratiche e del popolo degli indivisibili. Il cammino degli indivisibili continuerà, non potrà essere fermata la loro convinta scelta “umanistica”.

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