Ma Bellanova tutto questo non lo sa? - di Maria Gabriella Del Rosso

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Le dichiarazioni della ministra Bellanova sulla vetustà dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e sull’aumento delle tutele ad opera del gioiellino di Renzi noto come jobs act fanno venire un nodo alla gola per l’indignazione. Nessun governo di centro-destra era riuscito a creare tanto peggioramento dei diritti dei lavoratori. E non si dica che in virtù del jobs act si sono creati centinaia di migliaia di posti di lavoro: se incremento c’è stato (e certamente non nelle cifre strabilianti che furono annunciate dal ministro Poletti), è dipeso soprattutto dai cospicui sgravi sul costo del lavoro di cui hanno beneficiato le imprese, dall’ampliamento dei poteri datoriali, e dalla speculare diminuzione dei diritti dei lavoratori.

Si pensi alle picconate inferte al diritto alla qualifica dall’art.3, comma 1, D. lgs n.81/2015; all’eliminazione della causale per i contratti a termine sempre ad opera dello stesso decreto; all’eliminazione drastica della reintegra in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo, e alla correlata scarsità delle penali a carico del datore in tutti i casi di licenziamento ad opera del D. lgs n.23/2015 (solo parzialmente corretto dalla sentenza n.194/2019 della Corte Costituzionale, e dalla successiva legge “dignità” del governo gialloverde n.96/2018, che peraltro non è certo si applichi alle imprese con meno di 16 dipendenti).

Non intendo ripercorrere tutte le modifiche al diritto del lavoro introdotte dal governo Renzi, ci vorrebbe molto più spazio e ben altri autori ne hanno già scritto e molto, inoltre se ne è dibattuto in sede sindacale e giudiziaria. Voglio però riferire, in base all’esperienza quotidiana di addetta ai lavori del contenzioso giudiziale del lavoro, della giungla in cui si trovano i lavoratori e della “fantasia” con cui operano i datori di lavoro.

Il lavoro a tempo pieno viene assicurato come se fosse un part-time, e retribuito meno del dovuto, ovviamente al nero, cosicché se il datore non paga, il lavoratore si trova nella necessità di dimostrare in giudizio la quantità di lavoro prestato, e spesso non ne ha la possibilità.

L’interposizione illecita di manodopera da parte di cooperative, vere o fantasma, mascherate da contratti di appalto di manodopera, sono diffusissime, e quindi i lavoratori si trovano nella situazione di prestare attività come il collega dipendente dall’appaltatore, ma con un salario più basso e senza alcuna tutela.

I contratti a termine sono diventati la regola e quelli a tempo indeterminato l’eccezione, né i correttivi introdotti dal decreto “dignità” sono tali da scoraggiare i datori di lavoro, che trovano comunque il modo di aggirare le regole limitative: per esempio fanno scadere il contratto e il lavoratore viene assunto, sempre a termine ovviamente, da altra azienda prestanome.

Il lavoro straordinario non viene retribuito, o retribuito senza le maggiorazioni previste dai ccnl; il rifiuto del lavoratore a sottoporsi a ritmi inumani diventa motivo di licenziamento ritorsivo, difficile da dimostrare in giudizio.

I contratti di apprendistato spesso non hanno alcuna caratteristica di tale tipologia di lavoro, ma il datore usufruisce di notevoli sgravi e il lavoratore viene meno retribuito. I casi di inquadramento in qualifica inferiore a quella spettante per le mansioni svolte si sprecano.

Così ci troviamo di fronte a cameriere che per dieci anni vengono assunte continuativamente “a chiamata” dallo stesso ristorante; lavoratori extracomunitari che lavorano dodici ore al giorno e vengono retribuiti a seconda del loro paese di origine; parrucchiere cui viene imposto di costituire una società per azioni (!) con quota azionaria dell’1%, e non ricevono più il salario per la scarsità dei loro “dividendi”; sanzioni pecuniarie per piccoli errori o ritardi senza alcuna contestazione, ma ad assoluta discrezione del datore o del caporeparto; licenziamenti a seguito di maternità perché la lavoratrice viene posta dinnanzi all’alternativa o mamma o impiegata, chiaramente giustificati da motivi oggettivi; licenziamenti ritorsivi se il lavoratore si azzarda a chiedere di essere regolarizzato o pagato regolarmente.

I fenomeni di mobbing sono all’ordine del giorno, e spesso si risolvono con le dimissioni del lavoratore non più in grado di sopportarne il peso; impiegati che vengono privati delle mansioni e messi alla produzione per “punizione”; trasferimenti pretestuosi all’altro capo del paese per indurre il lavoratore a dare le dimissioni. E si potrebbe continuare. Ma forse la ministra Bellanova tutto questo non lo sa? 

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