Cup Venezia, la vetrina dei tagli alla sanità - di Frida Nacinovich

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Sono telefonate che allungano la vita quelle dirette al centro unico di prenotazione, detto ormai familiarmente Cup. Si prenotano esami, prelievi, visite specialistiche, tutto quanto riguarda la prevenzione e la cura dalle malattie. “Siamo la vetrina e il primo accesso del Servizio sanitario pubblico”, osserva con un’immagine calzante Matteo Baffa, che da sei anni lavora al Cup di Venezia, che comprende sia gli ospedali del centro della città lagunare che quello di Mestre, isola e terraferma. Il tutto all’interno di una sanità come quella veneta che, pur restando ai primi posti delle classifiche specializzate sulla qualità dell’assistenza, ha subito gli effetti di tagli draconiani al settore.

“Siamo i primi ad interfacciarci con i cittadini che chiedono risposte alla sanità. Che sia medicina preventiva – spiega Baffa - oppure medicina di cura per questa o quella patologia di cui soffre chi si rivolge a noi”. Un lavoro non facile, specialmente in periodi in cui i pazienti si accorgono abbastanza presto delle difficoltà per avere risposte tempestive a problemi che possono riguardare la propria stessa vita. “Va a finire che su di noi sfogano la rabbia e le frustrazioni di tempi di risposta troppo lunghi, liste di attesa eccessive. Anche al di là di quelle che sono le nostre mansioni effettive”, osserva ancora Baffa, che ha poco più di trent’anni ed ha trovato lavoro, in appalto, sei anni fa. “Posso anticipare, nonostante la mia esperienza non troppo lunga, che oggi si lavora peggio di quando ho iniziato”.

Nell’azienda in cui lavora, Baffa è inquadrato con il contratto multiservizi, che notoriamente non offre grandi garanzie agli addetti. “Ci occupiamo anche di accettazioni, referti, reparti ambulatoriali. Insomma siamo impegnati a 360 gradi, su tutta la linea. Non solo nei call center ma anche allo sportello. Per giunta qui da noi in Veneto è stato adottato, come in Lombardia, il sistema misto, con la sanità privata che grazie alle convenzioni ha preso sempre più campo. Quasi inutile raccontare che nei momenti di maggior difficoltà si cerca la risposta più adeguata e più veloce possibile. E si finisce per spendere anche i soldi che non si hanno”.

Spesso e volentieri ci si dimentica che all’altro capo del telefono ci sono persone in carne e ossa, lavoratrici e lavoratori quasi sempre sottopagati, eppure fondamentali per il funzionamento del sistema. “Il nostro appalto, che comprende Venezia e Mestre, impiega circa 160 addetti. Più donne che uomini, e sono davvero tanti i part-time, purtroppo anche involontari cioè scelti unilateralmente dall’azienda”. Da delegato sindacale, iscritto alla Filcams Cgil, Baffa cerca di gettare un fascio di luce su stipendi inadeguati, non di rado poco sopra la soglia della semplice sussistenza. “Quando veniamo assunti siamo inquadrati al secondo livello, il che vuol dire un salario orario di poco più di sette euro. Dopo poco scatta il livello successivo, ma lì poi ci fermiamo”.

La deleteria logica degli appalti non guarda in faccia nessuno, specialmente senza leggi in grado di limitare il semplice, patologico, ricorso al massimo ribasso. “Pensa che paradosso - denuncia Baffa - può capitare di trovarsi a lavorare fianco a fianco con colleghi che sono stati assunti in un appalto precedente, e che per questo guadagnano più di te pur facendo il tuo stesso lavoro”.

La ditta di Baffa si chiama Gpi, una grande azienda che gestisce centri unici di prenotazione in mezza Italia per la pubblica amministrazione, il sociale e appunto la sanità, con migliaia di addetti. Gli orari di lavoro nel Cup di Baffa vanno dalle otto del mattino alle sei del pomeriggio, il sabato il Cup si ferma a mezzogiorno. Naturalmente per i settori specializzati, come i prelievi, l’orario è anticipato alle sette. “Per ora non lavoriamo le domeniche, e ci auguriamo che non prenda piede questa pratica. Visto che già abbiamo salari bassi, cerchiamo di salvare almeno il giorno festivo”.

L’età media degli addetti è di circa quarant’anni, c’è chi all’interno del Cup di Venezia è passato di appalto in appalto per quindici anni. “La sempre più marcata tendenza a esternalizzare i servizi si specchia nel fatto che quando qualche dipendente pubblico va in pensione o viene trasferito, è sostituito da lavoratori in appalto”.

I combattivi lavoratori del Cup di Venezia e non solo, visto che si sono coordinati con alte realtà analoghe lungo la penisola, stanno ottenendo qualche piccolo ma importante risultato, come ad esempio i buoni pasto e l’armonizzazione dei livelli contrattuali. “Ma c’è ancora molto da fare - chiude Baffa - basti pensare che molti di noi sono obbligati al part-time, lavorano venti ore la settimana per seicento euro al mese, tutto al più possono essere un secondo reddito, molto basso, in una famiglia. Uno degli obiettivi minimi che ci proponiamo è quello di ottenere la clausola sociale incondizionata”.

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