Oggi paghiamo la svalorizzazione del lavoro pubblico - di Enrico Ciligot

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E' passato circa un mese dall’inizio dell’emergenza Covid19. Un mese dal primo decesso in Italia, un residente in provincia di Padova, a Vo Euganeo. Il nostro territorio, Padova e provincia, è stato tra i primi insieme alla zona del lodigiano ad essere colpito dalla diffusione del virus. Come Cgil e Fp Cgil provinciali stiamo operando con il massimo impegno nell’attuazione delle disposizioni del governo, adottando con responsabilità ogni possibile cautela per i dipendenti ed utenti, dando la massima priorità alla tutela della salute pubblica.

Come categoria si può senz’altro dire che fin da subito ci siamo resi conto della drammaticità della situazione. I contagiati nelle nostre strutture sanitarie aumentavano fin dai primi giorni in maniera esponenziale. Ogni giorno decine di casi in più. Al 22 marzo – quando ho scritto questi articolo - i dati ufficiali di Azienda Zero ci dicono che in Veneto si contano 4.167 contagiati. Padova risulta la provincia più colpita, sono state ricoverate fino ad oggi 1.594 persone, e di queste 146 sono decedute. Sono numeri grandi, specialmente per un territorio dove negli ultimi anni la politica regionale ha tagliato più del 30% delle terapie intensive, dove gran parte della spesa sanitaria è canalizzata verso le strutture private in convenzione.

Il presidente regionale Zaia ha fatto riaprire ben cinque ospedali che aveva fatto chiudere, perché non c’era più posto per chi continuava ad ammalarsi, e chiaramente le cliniche private non hanno messo a disposizione alcun letto. Finita l’emergenza bisognerà anche fare i conti in merito a questi argomenti. Perché per decenni ci hanno raccontato che il pubblico costava troppo e lavorava peggio del privato. Per anni hanno fatto passare l’idea che il pubblico non funzionava, che le liste d’attesa erano lunghe. Ma nessuno ha mai spiegato che le liste d’attesa erano infinite perché non si assumevano più medici ed infermieri.

Oltre all’emergenza delle strutture sanitarie, sta scoppiando (come prevedibile) l’emergenza case di riposo. Strutture ad alto rischio di contagio, per l’età degli ospiti e perché sono enti non preparati per una terapia intensiva adeguata. In provincia di Padova il caso più eclatante è quello della Casa di Riposo di Merlara, nella bassa padovana, dove su 69 ospiti in pochi giorni si sono ammalati in 63. Praticamente tutti. Su 30 operatori, 23 sono risultati positivi al tampone.

Ora l’emergenza nelle case di riposo si sta allargando a macchia d’olio: a Monselice 25 ospiti su 32 positivi, per il momento tra i dipendenti “solo” 9 positivi; a Galzignano Terme 30 ospiti positivi al test. Ma ormai quotidianamente iniziano ad arrivare nuovi casi da altri territori, si inizia con uno o due positivi. Scarseggiano i dispositivi di protezione individuali (dpi), mascherine, sovracamici, camici ed occhiali. Ma si continua a lavorare.

Al congedo previsto dal decreto Cura Italia per chi ha figli a casa, o disabili da assistere, si può accedere solo compatibilmente con le esigenze di servizio. Il che significa non usufruirne, perché medici ed infermieri sono in servizio anche dieci ora al giorno, e quando sono a casa li richiamano dopo qualche ora. Come nelle case di riposo, dove molti operatori socio sanitari sono positivi e posti in quarantena, chi è ancora sano deve fare turni doppi, saltando anche i riposi.

La Cgil, insieme anche ad altre organizzazioni sindacali, da anni denuncia carenze di organico. Oggi paghiamo il conto. Oggi siamo gli “eroi”, ma purtroppo non ci sono superpoteri, anche il personale sanitario si sta ammalando e muore. Siamo dipendenti pubblici, non eroi.

Infine ci sono tutti i servizi essenziali non differibili. Negli enti locali, che pur avendo ridotto l’attività non possono fermarsi completamente. Ci sono servizi essenziali come la raccolta dei rifiuti urbani. Operai raccoglitori che ogni giorno operano nelle nostre strade.

Questa è la situazione, passata l’emergenza (perché finirà) ricordiamoci di queste lavoratrici e di questi lavoratori, pubblici e privati che svolgono insieme servizi pubblici, e praticamente tutti con i contratti nazionali scaduti da tempo. Sarebbe un bel messaggio da parte della politica, fare un mea culpa su decenni di liberismo sfrenato, su tagli ai servizi pubblici e sulla svalorizzazione del lavoro pubblico.

Come dopo l’ultimo conflitto, come il piano per il lavoro di Giuseppe di Vittorio, servono massicci investimenti pubblici per ripartire. Riconoscere gli sbagli fatti e recuperare il tempo perso. Siamo ancora in tempo. Noi ci siamo e ci saremo.

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