Il patto sociale: una gabbia vecchia e inutile - di Giacinto Botti e Maurizio Brotini

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Siamo ancora dentro la pandemia globale, in una grave crisi sanitaria, sociale, economica e occupazionale che non lascerà nulla com’era. Eppure sembra che la paura, la consapevolezza del cambiamento, delle nostre fragilità, la solidarietà per qualcuno siano già archiviate.

C’è una comprensibile ansia di tornare a una normalità che non sarà però più la stessa. Stanno affiorando i peggiori difetti del Paese: deresponsabilizzazione, rimozione delle colpe, dimenticanza. E nelle piazze, con la strumentalizzazione della festa della Repubblica antifascista, ne abbiamo visto il volto peggiore, quello negazionista, fascista, razzista, populista e nazionalista, che cavalca bisogni e sofferenze sociali reali. Adunate all’insegna del disprezzo della vita altrui, del sacrificio di medici e infermieri impegnati contro il virus che è ancora tra noi.

Piazze alle quali guarda un padronato italiano conservatore e una Confindustria la cui irresponsabilità sociale è confermata dalle dichiarazioni vergognose e arroganti del suo neo presidente. Una Confindustria che per uscire dalla crisi avanza proposte da “padroni del vapore”, fuori luogo e fuori tempo. Come fuori luogo e tempo è la riedizione di un nuovo “patto sociale” come quello del 1993 tra governo, sindacato e Confindustria.

Dinanzi a una crisi di sistema che impone un cambiamento radicale e il superamento del capitalismo predatorio, dello sfruttamento delle persone e del pianeta, quel patto concertativo dei due tempi è un vecchio strumento inservibile e non più proponibile. Fu causa, tra altro, di rotture tra la base e il vertice sindacale, di divisioni nel sindacato e nella sinistra politica e finì per rivelarsi uno scambio a perdere sul fronte salariale, occupazionale e dei diritti. Si salvò il Paese dalla crisi economica ma il movimento dei lavoratori pagò un prezzo altissimo.

Oggi come Cgil vogliamo essere liberi e autonomi protagonisti del cambiamento e non soggetti rinchiusi in un vincolante quanto inutile patto sociale. In campo ci sono proposte diverse, si scontrano interessi alternativi, visioni di società e di mondo che è illusorio pensare di comprimere in un “patto” tra poteri, soggetti sociali e politici, mentre c’è uno scontro strategico tra capitale e lavoro. Limitarsi a sopravvivere al virus non è una politica per il futuro ma una resa. Rischia l’Europa stessa, se non sa ripensarsi sociale e solidale. La sinistra, se vuole tornare a rappresentare il lavoro non può rimanere “incolore” e sacrificare ancora la sua identità sull’altare del mercato e della cultura neoliberista. Non lo può fare di certo il sindacato confederale. Qualsiasi proposta di alleanza e di coesione sociale per risollevare il paese dovrà fondarsi su una strategia alternativa di sviluppo che abbia al centro la persona e non il profitto, il lavoro e il diritto alla vita e alla sicurezza sociale.

La nostra rotta è rappresentata dal Piano del lavoro e dalla Carta dei diritti, il nostro faro è la Costituzione.

È il momento di essere protagonisti e di conquistare il cambiamento con la partecipazione, la lotta e l’unità del mondo del lavoro.

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