Rossana Rossanda, una ragazza di oggi - di Carlo Parietti

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Rossana Rossanda ci ha donato e ci lascia una storia bella e ricchissima di militanza svolta sempre con un senso del dovere straordinario, tanto quanto straordinarie erano la sua intelligenza, la sua cultura e la sua sensibilità, politica e umana.

Ha messo in pratica ciò che scrisse Gramsci: “Credo che vivere vuol dire essere partigiani”. Partigiana sempre, con le armi contro il fascismo quando ancora ragazzina si unì alla Resistenza, e poi per tutta la vita con la sua militanza, ma faziosa mai, perché troppo forte e costante era la sua curiosità verso la politica, le culture e anche verso le persone.

Ha scritto: “La mia vita ha come asse portante il rapporto con l’altro, ma nego che questo sia sinonimo di dipendenza. Sarei più incline a credere che la scelta di fondare il sé su se stessi sia autistica”. Questa impostazione vale anche come ammonimento per chi pensa invece che la coerenza con se stessi abbia un valore assoluto, superiore anche a quello della solidarietà e della responsabilità verso gli altri.

Ebbi il piacere e l’onore di incontrarla di persona la prima volta a metà anni ’70, nel corso di una travagliata vicenda di scissione incrociata tra Avanguardia Operaia e Pdup-Manifesto. Lavoravo allora a Milano al Quotidiano dei Lavoratori, e Rossanda gestì il passaggio di alcuni di noi al Manifesto, e da Milano a Roma. Con grandissimo affetto ricordo la sua generosità nel raccontarmi le sue esperienze di giovanissima compagna quando si trasferì da Milano a Roma, per lavorare al Pci e direttamente con Togliatti. Ero (sono) tanto stupido che solo in questi giorni ho capito che quel suo raccontarsi significava che aveva percepito il mio disagio nel cambio tra Milano (dove parlavo soprattutto con operai e sindacalisti) e Roma (una volta che, in una conferenza stampa, il ministro Bisaglia mi diede la mano provai quasi vergogna ad aver ricambiato la stretta).

Per contro ero terrorizzato se capitava che ci fosse da impaginare un suo pezzo quando ero di turno in tipografia: non solo non rispettava mai le lunghezze assegnatele, ma la sua scrittura era densa e ad ampie volute ... difficilissimo tagliare solo qualche parola o riga senza rovinare l’insieme. Rossana non rispettava le lunghezze, rispettava però il lavoro altrui e, a mia conoscenza, non fece mai lamentele.

Purtroppo avemmo anche occasione di scontrarci, nel periodo della dolorosa separazione tra il Pdup e il Manifesto. Io ero nel frattempo passato dal giornale alla responsabilità della Commissione Operaia del Pdup. Ci dividemmo sull’atteggiamento da tenere sulla “Piattaforma dell’Eur”, della quale noi del Pdup criticavamo la logica dei “sacrifici” impostata da Berlinguer e da Lama, ma apprezzavamo l’ambizione di negoziare sull’insieme della politica economica, mentre il Manifesto era per una completa opposizione. E sulla vicenda del terrorismo: noi del Pdup temevamo che qualsiasi “riconoscimento”, anche indiretto, delle Br nella fase del rapimento Moro, avrebbe comportato uno stato di emergenza e di guerra civile. Ma proprio su questo voglio ricordare che Rossana ebbe anche il coraggio di andare da sola alla Casa dello studente a litigare in un’assemblea di gruppi di Autonomia operaia!

Ricordo con un po’ di vergogna una direzione del Pdup nella quale la criticai duramente; tanto che lei si alzò e se ne andò offesa; e alcuni compagni, benché d’accordo con me, mi rimproverarono dicendomi: “Non si parla così a Rossana Rossanda”.

La reincontrai un paio di anni dopo, nel 1980. Mi chiese, che cosa facessi, e alla mia risposta che ero in Cgil, lei commentò: “Oh bene, almeno è qualcosa di vero”. Essendomi io iscritto alla Fiom nel 1972, ne ero ben convinto, ma il suo era anche un modo di rispondermi, nonostante tutto ancora con generosità, anche a quel che le avevo detto in quella direzione.

Molti anni dopo parlai con Bruno Trentin della vicenda che aveva portato alla radiazione del Manifesto; trovandolo, con ragione, aspramente critico sulla questione dei Consigli, che il Manifesto intendeva come soviet, base di strategia rivoluzionaria, anziché strumento di unità sindacale e di rappresentanza democratica, come se ottenere “qui e ora” più potere e più libertà per le persone che lavorano, fosse troppo poco.

Al di là di singole scelte e dissensi, Rossana Rossanda non è “del secolo scorso”, ma una compagna che può dare ancora molto, soprattutto alle ragazze e ai ragazzi di oggi, se vorranno e sapranno cogliere qualcosa della sua vita e del suo modo di vivere la politica.

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