Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici al tempo della pandemia in un territorio del profondo Sud - di Angelo Leo

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Il disastro economico sociale provocato dal Covid 19 nel nostro Paese in generale e nel nostro Sud in particolare non ha precedenti di confronto dal dopoguerra. Prima del Covid vi era già una grave crisi economica e industriale che aveva sbattuto fuori dalle fabbriche migliaia di lavoratori, con il massiccio ricorso alla cig e alla Naspi. Con il coronavirus i numeri sono paurosamente schizzati come un razzo verso l’alto. E purtroppo, ad oggi, non riusciamo a prevedere l’inizio della fase discendente.

Prima e dopo la proclamazione dello sciopero generale dei metalmeccanici, durante i nostri picchetti davanti alle fabbriche, nel corso delle stesse assemblee, nelle discussioni in remoto tra i nostri gruppi dirigenti, Rsu, segreterie e assemblea generale, la preoccupazione primaria dei lavoratori rimane la perdita del proprio posto di lavoro. La insicurezza del posto di lavoro fino all’età pensionabile, specie nelle grandi aziende multinazionali, deprime i lavoratori più di ogni altra cosa. L’emorragia retributiva provocata dalla cassa integrazione supera di gran lunga ogni eventuale futuro aumento salariale contrattuale.

Nonostante tutte le attuali difficoltà i metalmeccanici hanno scioperato, perdendo ulteriore salario anche nelle nostre terre. Rinnovare un contratto in una situazione di normalità non è già mai stato semplice nel nostro Paese in generale e al Sud in particolare. Tantomeno la chiusura di un contratto è stata mai decisa a Brindisi o nel resto del Mezzogiorno. Ma oggi, nell’epoca della pandemia e della diffusione del contagio in tutte le fabbriche, nella difficoltà di tenere nella stragrande maggioranza delle aziende le assemblee in persona, formidabile strumento sindacale, democratico e pedagogico dei lavoratori, si rischia di far regredire la stessa coscienza di classe.

I settori più reazionari della Confindustria, con palese cinismo, cercano di approfittare della situazione per sferrare un colpo alle condizioni dei lavoratori in generale e alla stipula del contratto in particolare. Una condotta, quella di Confindustria, pericolosa e cieca.

Dalle grandi crisi e dalle guerre (la pandemia non è una guerra, ma i danni provocati alle persone e alle cose, sono simili a quelli di una guerra mondiale) storicamente si sono avute due uscite: il fascismo, con la riduzione in schiavitù di tutti i lavoratori, la povertà e la prosecuzione delle stesse guerre, o il primato della democrazia e il peso dei lavoratori e delle loro organizzazioni sulla scena politico-istituzionale, fondato sul benessere (sanità, scuola, lavoro e redistribuzione del reddito).

Pertanto il contratto dei metalmeccanici assume oggi una valenza che va oltre ogni (normale) rinnovo contrattuale. A maggior ragione l’attuale governo Conte non può comportarsi come un pesce in barile, di fronte all’arroganza dei falchi di Confindustria. Sostenere i lavoratori nelle loro giuste rivendicazioni, sostenere l’aumento del loro reddito falcidiato dalla crisi, impedire la caduta nella più nera delle recessioni, eviterà il fallimento a catena delle stesse aziende private.

Soprattutto il governo, lo Stato, deve dotarsi di una politica industriale, dopo decenni di latitanza lasciando tutto nelle mani del mercato, con le tragiche conseguenze attuali che ci fanno rimpiangere persino i passati, famigerati governi democristiani del secolo scorso.

In ogni caso la Fiom Cgil anche a Brindisi non smetterà mai di assolvere alla sua funzione sindacale di agente contrattuale autonomo dei lavoratori, e alla sua funzione generale di salvaguardia della democrazia nel nostro intero Paese.

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