Il virus contro i diritti - di Sergio Segio

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“18° Rapporto sui Diritti Globali - 2020”, a cura di S. Segio, pagine 424, euro 26, Ediesse. 

Nel 2019 avevamo titolato il 17° Rapporto sui diritti globali “Cambiare il sistema”, a sottolineare quanto tutti gli indicatori sociali, economici, ambientali, geopolitici, in modo inequivocabile e univoco, ci stanno da tempo mostrando l’insostenibilità del modello capitalistico-liberista.

Nel 2020 il mondo ha tragicamente vissuto – e sta ancora vivendo – un ulteriore slittamento verso un punto di tracollo. La pandemia da Covid-19 in corso, anziché provocare adeguata riflessione sulle sue cause e su immediati e conseguenti ripensamenti e revisioni di quel modello, è stata usata come grande opportunità nella logica rapace della “dottrina dello shock”: per accentrare poteri, incentivare profitti, approfondire le diseguaglianze, violare diritti umani, disciplinare e controllare i cittadini, introdurre procedure di eccezione a discapito del controllo parlamentare e democratico.

La crisi pandemica è così divenuta tappa ulteriore della “lotta di classe dall’alto” in atto (e con successo, come rivendicò Warren Buffett, l’ottavo uomo più abbiente del mondo). Una guerra lunga ormai da un quarantennio, dall’epoca del thatcherismo e reaganismo.

Ora siamo nel pieno di un nuovo capitolo del “capitalismo dei disastri”, devastante a livello sociale, ma produttivo e decisamente redditizio per le élites globali. Il Covid-19, anzi, è un “disastro perfetto” per quel sistema di governo. Da qui il titolo scelto per il Rapporto 2020: “Il virus contro i diritti”.

La vera pandemia è, insomma, il capitalismo nell’epoca della globalizzazione, mentre la situazione sanitaria e sociale che stiamo patendo andrebbe più esattamente definita sindemia, ovvero l’interazione sinergica di pandemie infettive e malattie croniche, a loro volta influenzate da problematiche ambientali, sociali ed economiche corresponsabili di diseguaglianze di salute.

La distruzione di habitat ed ecosistemi e di ipersfruttamento della natura, il sistema dell’agribusiness, i cambiamenti climatici, l’inquinamento atmosferico, così come il programmatico smantellamento dello stato sociale e della sanità pubblica operati in questi decenni, sono alla base dell’immensa tragedia globale che affligge il mondo e che sta colpendo le fasce più deboli e, simmetricamente, sta venendo utilizzata per drenare ulteriore ricchezza e potere verso i più ricchi. Un solo, eloquente, dato: la ricchezza dei 651 miliardari statunitensi è cresciuta di oltre un trilione di dollari dal marzo scorso a inizio dicembre 2020, raggiungendo un totale di quattro trilioni. È cioè aumentata di un quarto in pochi mesi. Una dinamica che ha riguardato anche gli altri paesi, Italia compresa.

Dell’insostenibilità di questo sistema, peraltro, inizia a essere e a dirsi consapevole anche una parte (assai piccola, in verità) dei suoi maggiori beneficiari economici. In questa luce si potrebbe leggere infatti la proposta di “Millionaires for Humanity”, i cui aderenti nei mesi scorsi hanno chiesto ai governi di essere maggiormente tassati per rafforzare i sistemi sanitari, a fronte dei problemi causati e rivelati dal Covid-19. Si tratta di poco più di un centinaio di possidenti, in buona parte statunitensi; circa un quarto è europeo, ma nessuno dall’Italia, dove l’ipotesi di una tassa patrimoniale continua a essere un tabù infrangibile.

L’iniziativa può essere letta come utile sollecitazione politica o come accorta strategia di capitalism washing. In ogni caso, le questioni sistemiche sempre più evidenti e drammatiche hanno bisogno di ben altro dei piccoli correttivi e riequilibri fiscali. In gioco c’è una più complessiva e radicale revisione dell’ordine esistente, come è divenuto a tutti più immediato comprendere in quest’ultimo anno, circa la quale non è realistico immaginare un’autoriforma, come ben dimostrano, ad esempio, le lentezze sulla vitale questione dei cambiamenti climatici e, anzi, i pericolosi passi indietro dagli impegni stabiliti negli Accordi di Parigi del 2015, presto disdetti da Trump e Bolsonaro, vale a dire da due degli attori politici maggiormente determinanti su quello specifico.

Se lo shock pandemico ha scatenato i già bulimici appetiti della grande finanza e delle multinazionali, a partire da quelle del digitale, contemporaneamente ha messo in mora i movimenti. Nel ventennale di Genova bisogna cominciare a organizzarsi, non tanto per celebrazioni, ma per ripartenze: dalla radicalità e dalla determinazione di quel grande movimento globale che venne definito dal New York Times “la seconda potenza mondiale”. A distanza di due decenni, occorre riconoscere che le analisi e le proposte di quel movimento globale hanno dimostrato in pieno la loro fondatezza e perdurante attualità.

 

Il “Rapporto sui diritti globali” è nato allora. Nel nostro piccolo, in quel solco continuiamo a lavorare, a pensare, a studiare e proporre, per costruire cambiamento dal basso, per immaginare e raccontare altri mondi possibili.

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