I Diari di Bruno Trentin 1995-2006: una miniera da esplorare - di Claudio Treves

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“Bruno Trentin e l’eclisse della sinistra”, a cura di A. Ranieri e I. Romeo, pagine 188, euro 18,50, Castelvecchi. 

Questa edizione dei Diari di Bruno Trentin si differenzia dalla precedente (a cura di Iginio Ariemma, Ediesse) perché opera una selezione delle pagine dei Diari e presenta un’importantissima appendice documentaria, che consente di ritrovare i pensieri del Diario negli scritti pubblici e nelle relazioni di Trentin con tanti esponenti del movimento operaio. Una lettura affascinante, che dà conto del travaglio dell’autore e del dipanarsi del suo pensiero dopo l’intensissima stagione da segretario generale della Cgil.

Il filo conduttore è rappresentato dall’idea di libertà. Un concetto tutt’altro che semplice o banale, e che nella storia del movimento operaio è stato spesso contrapposto a quello dell’eguaglianza. C’è stato perfino chi - Norberto Bobbio - ha individuato nella loro alternatività lo schema definitorio tra la destra (privilegerebbe la libertà) e la sinistra (favorirebbe l’uguaglianza).

Trentin sceglie con nettezza la libertà, e anzi imputa all’aver scelto (solo) l’eguaglianza una delle tare che hanno condotto il movimento operaio a seguire due strade entrambe fallimentari: l’autoritarismo del “socialismo reale”, dove il piano decideva tutto e rimandava ad un domani irraggiungibile il superamento dell’oppressione delle persone; oppure (nell’Occidente) la limitazione dell’azione sindacale e politica al “risarcimento” dell’oppressione sul lavoro attraverso la leva salariale e lo stato sociale assistenziale.

In entrambi i casi - sostiene Trentin - non viene mai messa in discussione la cancellazione della libertà insita nella soggezione dell’uomo che lavora ai diktat dell’organizzazione “scientifica” del lavoro. Ed è qui che si radica il primato della libertà come leva per il cambiamento autentico.

Su questa idea di libertà occorre soffermarsi. In un passo dei Diari 1988-94 Trentin s’interroga su come un diritto, anche minimo, possa fungere da leva per costruire attorno ad esso la solidarietà di tutti i lavoratori, e di come questa ricerca sia l’essenza di un sindacato non corporativo: qui Trentin sviluppa questo concetto, identificando la libertà con la conquista di diritti che “ne diano sostanza ed efficacia”, e ne ripercorre la storia, in primo luogo (nell’800) con la riduzione della giornata lavorativa e il riconoscimento del diritto di associarsi, per arrivare (anni ‘50-‘60) alla lotta per la qualifica professionale come riconoscimento delle competenze del lavoratore “oggettivo e spendibile anche oltre il posto di lavoro”, all’ottenimento del diritto alla salute, ad ambienti lavorativi salubri, all’elevazione culturale (150 ore), fino al diritto di misurarsi con il destino dell’impresa, i suoi programmi e le conseguenze sul lavoro (diritti d’informazione e Piano d’impresa).

Per Trentin questi passaggi sono tracce di un pensiero rimasto minoritario nel movimento operaio, che antepone la lotta per la libertà al prevalere di misure di semplice risarcimento egualitario. I passaggi dei Diari anticipano quella che sarà l’opera teoricamente più matura e forse più sofferta di Trentin – “La Città del Lavoro” (Feltrinelli 1997), dal significativo sottotitolo “Sinistra e crisi del fordismo”. E il lettore potrà seguire il Trentin dei Diari nella ricostruzione, faticosa e tormentata, del filo rosso che tiene insieme il giovane Marx, Rosa Luxemburg, Gramsci, i marxisti “di sinistra” della Vienna degli anni ‘30, e il pensiero cristiano di Simone Weil, tappe di un pensiero della libertà come strumento consapevole di trasformazione.

Un pensiero che deve sempre fare i conti con i cambiamenti, in particolare con quelli del capitalismo attuale, che pretende il massimo dell’intelligenza del lavoratore, negandogli al contempo ruolo e dignità. E qui Trentin si dispera per la cecità della sinistra (e del sindacato), non all’altezza di questa contraddizione: anzi non mettono in discussione la presunta oggettività dell’organizzazione del lavoro, per basarsi invece su misure ancora una volta risarcitorie (il reddito incondizionato), senza porre mai con nettezza la richiesta di potere che innerva la rivendicazione di libertà da parte dei lavoratori, e che si dovrebbe radicare nella lotta per il riconoscimento del ruolo e per il diritto alla formazione e all’aggiornamento continuo.

Trentin ritorna più volte sulle conseguenze della priorità data all’eguaglianza risarcitoria rispetto alla libertà: la divisione dei compiti tra sindacato e partito, obbligato il primo alla sola lotta salariale, e deputato il secondo alla “trasformazione generale”. E che - venuta a cadere con il muro di Berlino l’idea stessa della trasformazione sociale - assume il tragico volto di un “leninismo senza rivoluzione”, in cui il partito nato per liberare l’umanità ha il solo scopo della conquista del governo, annullando così ogni ipotesi di modifica “qui ed ora” delle condizioni delle persone.

 

Spero che questi brevi cenni invoglino alla lettura di pagine davvero dense e significative. Un grande ringraziamento a Ranieri e Romeo per questo splendido volume.

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