Lo sport in Italia, fra emergenza Covid e riforma - di Cesare Caiazza

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L’emergenza Covid 19 – unitamente alle conseguenti misure di contenimento per contrastare il diffondersi del virus – mette ulteriormente a nudo i limiti del sistema sportivo italiano, e l’urgente esigenza di una sua profonda riprogettazione. La pandemia in atto, provocando una vera e propria “catastrofe umanitaria” a livello globale con il tragico portato di morti e sofferenze che tutti conosciamo, genera ricadute pesanti, oltre che sul lavoro e l’occupazione, anche in ragione di un distanziamento e isolamento sociale inediti nella storia dell’umanità. Una condizione che, per quanto attiene allo sport, vede “continuità” delle attività praticate a livello professionistico (con stadi vuoti e tv a pagamento che aumentano il loro grandi profitti) ma, al contempo, ha imposto chiusure di palestre, piscine e campi da gioco, lasciando, per sportivi amatoriali e dilettanti, bambini e ragazzi, spazio per le sole pratiche individuali all’aperto o in casa.

In questo particolare momento vengono ulteriormente alla luce le problematiche e le anomalie del sistema sportivo del nostro Paese. Tutti i dati ufficiali testimoniano come l’Italia si collochi, tra i Paesi europei, in fondo alla classifica per quanto attiene la pratica dell’attività sportiva. L’anomalia italiana, nel panorama internazionale, è data dal ruolo storicamente assegnato al Coni, chiamato – dal dopoguerra a oggi - a svolgere funzioni che in tutti gli altri Paesi svolge lo Stato, soprattutto in termini di programmazione, promozione, indirizzo e controllo, oltre che di finanziamento indiretto e gestione.

Ora, con queste premesse e in questo grave quadro emergenziale, il Consiglio dei ministri sta cercando di accelerare l’iter per la riforma dello Sport e ha già approvato, il 20 novembre scorso, cinque dei sei decreti legati alla legge 86/2019, ad esclusione del primo, sul quale permangono divisioni importanti tra le stesse forze di maggioranza.

Senza entrare nel merito di quattro dei decreti già approvati, per quanto attiene il secondo, che disciplina le associazioni e società sportive dilettantistiche e professionistiche, i tesserati e i rapporti di lavoro nello sport, sono condivisibili le osservazioni di Cgil Cisl Uil per l’audizione parlamentare del 28 dicembre scorso.

Il tema è che proprio il primo decreto - ancora non approvato - rappresenta il fulcro della legge, e soltanto la sua stesura darà la cifra della portata della riforma, in quanto interessa il riordino delle fonti legislative dello sport, le competenze e la governance. Nel mentre, in una condizione di apparente vuoto legislativo connesso a “chi fa cosa”, si è sostanzialmente dato seguito a quanto già disposto dall’articolo 1, comma 630 della legge di Bilancio 145/18 che prevede la sostituzione di “Coni Servizi” con “Sport e Salute spa”, mantenendo anche per la nuova società, come per la precedente, la partecipazione al 100% da parte del ministero dell’Economia.

“Sport e Salute” eredita i compiti operativi del Coni, descritti dal contratto di servizio in essere tra Coni e “Coni Servizi”. A differenza di “Coni Servizi”, i vertici di “Sport e Salute” non sono nominati dal Coni bensì decisi direttamente dal ministero dell’Economia su indicazione dell’autorità di governo competente in materia di sport. Inoltre dispongono l’assegnazione non più al Coni ma a “Sport e Salute” dei fondi da ripartire alle Federazioni sportive, e delle poche risorse destinate agli Enti di promozione sportiva.

È normale che proprio su aspetti così dirimenti e carichi di interessi economici e di potere (i compiti e le funzioni del Coni, del Cip, della società “Sport e Salute spa” e del dipartimento sport presso la presidenza del Consiglio dei ministri, delle Federazioni, discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva, dei gruppi sportivi militari e di Stato), vi siano pressioni, fibrillazioni e divisioni che attraversano la stessa maggioranza di governo.

C’è da auspicare che si trovi rapidamente, anche attraverso il coinvolgimento non solo di tutti gli attori dello sport ma anche delle parti sociali, una sintesi capace di prevedere finalmente, dopo circa 75 anni, come avviene in tutti i paesi democratici e avanzati, un ruolo di programmazione e coordinamento del pubblico con il quale definire le premesse di uno sport per tutte e tutti, inteso davvero come bene comune.

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