Pnrr: quale politica industriale per il Mezzogiorno? - di Alfonso Marino

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Apochi giorni dall’invio a Bruxelles del documento, si sono svolti gli ultimi confronti per la stesura definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), con un passaggio in Parlamento il 26 e il 27 aprile. L’ultima versione del Pnrr, rispetto alle versioni preliminari, ha cercato di conciliare due esigenze opposte: allargare la fetta per gli investimenti pubblici, portandola al 70%, riducendo quella dedicata ai sussidi, ma senza sfondare le linee di deficit e debito di finanza pubblica.

Esiste un pericolo concreto per il sud: gli investimenti, anziché rafforzare, rischiano di indebolire il Mezzogiorno. L’assenza di programmazione da parte dello Stato può determinare una gestione degli investimenti non organica in termini di politica industriale, da tempo assente in Italia.

Il sud è tanti settori e aziende. Fra queste Fincantieri, ma qual è la sua missione produttiva? E quali sono le infrastrutture sulle quali puntare? Automotive: la Marelli ha spostato la produzione del motore elettrico in Germania, e la consolazione per la produzione del diesel, tecnologia quasi obsoleta, è minima se lo stabilimento di Pratola Serra non cambia traiettoria. Come si inseriscono Melfi e Pomigliano in questo percorso? Un confronto è possibile per legare investimenti pubblici e politica industriale nel mezzogiorno?

Passiamo al settore del bianco: i lavoratori della Whirpool come rientrano in questo piano? La soluzione è quella tipo Italcable di Casoria, workers buyout? Aerospazio civile, la concentrazione nel sud è interessante: Pomigliano, Nola, Foggia, Grottaglie, tutti stabilimenti che hanno necessità di individuare o consolidare le loro traiettorie di crescita. Non dimentico Termini Imerese, dopo dieci anni qual è la traiettoria di crescita? Alcuni di questi settori se producono conto terzi per Francia e Germania reggono, ma se valutiamo la tenuta dei settori che rispondono alla mobilità interna e all’automotive c’è il baratro.

Una politica industriale che individua la filiera tecnologica e le competenze sostenibili per le imprese localizzate nel sud Italia è urgente. Senza di essa i fondi possono determinare un moltiplicatore negativo, una deindustrializzazione ulteriore. Evitare questo moltiplicatore negativo è possibile, ma bisogna avere una politica industriale con investimenti pubblici e privati per il Mezzogiorno.

Questa è una breve e non completa rassegna dell’esistente che barcolla e resiste, poi c’è il nuovo che deve essere consolidato nei beni capitali nel tempo pandemico. Ne cito una tra le altre, la Lachifarma di Zollino, paesino del Salento, che produce prodotti di erboristeria e cosmetici ma come le altre ha investito e sposta la propria attività sui vaccini. Oppure Edilatte, che acquista scarti da utilizzare come materie prime per i suoi prodotti: pitture, intonaci, coloranti e additivi.

In questi settori come pensa di procedere il governo attraverso il Pnrr? La transizione verso un nuovo modello deve guardare all’esistente, esistente che esprime avanzate realtà industriali e leader di mercato. Una di queste è la Bionap di Belpasso, nel catanese: chilometro zero e riuso degli scarti, i pilastri dell’economia circolare.

Lo ripeto, è necessaria una politica industriale, oppure i soldi non bastano. La necessità è data anche nei settori con un “dibattito” continuo: nel turismo ad esempio, in relazione alle piccole e medie imprese che sono la spina dorsale nel Mezzogiorno, quali sono le ipotesi di innovazione del settore? Se poi il ruolo del governo attuale deve limitarsi alle opere pubbliche nel Mezzogiorno, con tutto il suo portato in termini di tempi di realizzazione e trasparenza, l’azione non segue le parole del governo, che afferma di realizzare un “ruolo nuovo del pubblico, in linea con il nuovo modello di sviluppo”.

Presentare un piano credibile non prescinde dagli errori del passato, dalle profonde assenze in materia di politica industriale dell’Italia, di cui il Mezzogiorno è parte. Le risorse, senza un piano che tiene conto dei settori, delle specifiche azioni da implementare, del ruolo dello Stato come regolatore e negoziatore, non reggono. Anzi creano ulteriori difficoltà, e possono determinare l’addensarsi di ulteriori, robuste asimmetrie di crescita.

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