Diritto, lavoro e globalizzazione nelle tesi di Alain Supiot - di Salvo Leonardi

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Alain Supiot, “La sovranità del limite. Giustizia, lavoro e ambiente nell’orizzonte della mondializzazione”, a cura di A. Allamprese e L. D’Ambrosio, Mimesis, pagine 210, euro 18.  

E' appena uscito, per Mimesis, “La sovranità del limite”, del giurista francese Alain Supiot, molto conosciuto e apprezzato in Italia da quando, negli anni ’90, entrò autorevolmente nel grande e tutt’altro che esaurito dibattito su subordinazione e autonomia, come pure sul futuro del diritto del lavoro.

Si tratta di una raccolta di sette saggi, scritti fra il 2000 e il 2020, raggruppati in tre parti tematiche: sulla natura e la funzione del diritto, sui nuovi volti della subordinazione e dell’Unione europea, su globalizzazione e mondializzazione. Con una presentazione del volume curata da Luca D’Ambrosio e Andrea Allamprese, ed una postfazione di Ota De Leonardis.

Del diritto, Supiot assume una concezione antropologica intrisa di quei valori di giustizia e di limite che, il positivismo giuridico da un lato e il “delirio scientista” e neoliberista dall’altro, avrebbero stravolto, configurandone – come nel caso emblematico della teoria ‘Law and Economics’ – una concezione meramente ancillare nei riguardi degli imperativi del capitalismo globalizzato. La giustizia costituisce invece un principio metagiuridico ineliminabile, per quanto insolubile e senza mai una risposta definitiva. Essa contiene una dimensione ermeneutica, dinamica e soggettiva, ispirata e mossa dal coraggio di dire la verità, la ‘paressia’, fondamento giuridico della democrazia.

È in questa prospettiva, e ambizione, che si possono intendere Dichiarazioni universali come quella di Filadelfia (Organizzazione Internazionale del Lavoro, 1944), per la quale “lo scopo centrale di ogni politica nazionale e internazionale è la realizzazione del diritto di tutti gli esseri umani a perseguire il loro progresso materiale e il loro sviluppo spirituale in libertà e dignità, nella sicurezza economica e con eguali chances”.

Un’altra minaccia, per il diritto, proviene oggi dalla “consacrazione giuridica della scienza”, fatta di agenzie rappresentative indipendenti, incaricate per legge di interpretare le “verità intangibili”, a scapito del controllo democratico sull’elaborazione del diritto e della politica. Scientismo ed economicismo, anche nella loro storica variante comunista, sono stati e restano, secondo l’autore, due fra le maggiori minacce totalitarie che incombono sulle società umane. Un rapporto necessario, ma problematico, quello fra tecno-scienza e democrazia, di cui quest’anno di pandemia ha offerto uno spaccato emblematico.

Non senza qualche sorpresa, forse, Supiot ne ricava un giudizio severo, evocando derive illiberali a proposito delle restrizioni di alcuni diritti costituzionali, prescritte dai virologi e serialmente imposte per decreto. “La scienza ci aiuta a capire quel che ‘è’ ma non ha nulla da dire su quel che ‘deve essere’”. È il diritto – guidato da una politica democratica – a dover erigere quei limiti e ad imporre quelle responsabilità, su lavoro e ambiente, che le imprese globalizzate aggirano ed eludono nella ricerca spasmodica e spregiudicata di nuove convenienze.

La sezione “Dalla legge al numero” contiene i saggi a più spiccato contenuto giuslavoristico, a partire da quello sui nuovi volti della subordinazione, con alcune fra le tesi che più hanno connotato e reso celebre il pensiero di Supiot, influenzando molto, da allora, il dibattito accademico e sindacale italiano. E dal quale, a sua volta, il giurista francese trasse spunti; come a proposito di “parasubordinazione” o nel confronto con Trentin.

Nel passaggio dal fordismo al post-fordismo, la contrapposizione un tempo netta fra lavoro subordinato e autonomo si attenua, a vantaggio di modalità più ibride in cui la subordinazione incorpora tratti inediti di autonomia, all’insegna del risultato e dell’‘empowerment’, laddove il lavoro autonomo diviene sempre più pervaso da dipendenza economica e “sudditanza” esistenziale. Un avvicinamento che si dispiega attraverso le metamorfosi del potere, oggi in grado di dissimularsi attraverso un suo relativo ed esteriore arretramento nelle forme più arbitrarie e centralizzate, a vantaggio di processi più complessi e diffusi, difficilmente inquadrabili secondo le fattispecie giuridiche tradizionali.

L’essenziale però, ovvero il controllo del datore sui frutti della prestazione, non viene in alcun modo abrogato, ma persino accresciuto dall’interiorizzazione del comando, oggi favorito dall’intreccio fra tecnologie digitali e ideologia manageriale del coinvolgimento. “Dalla standardizzazione dei ‘gesti’ a quella delle ‘persone’”; dalla mano d’opera al “cervello d’opera”; dall’asservimento dei corpi a quello degli spiriti, questi sono i veri indicatori di questa metamorfosi. Ciò ha riflessi rilevanti per le relazioni industriali; taluni favorevoli, come con l’espansione degli obblighi datoriali di motivazione, e dei diritti sindacali di informazione, consultazione e controllo.

La contrattazione collettiva si presta tuttavia a forti rischi oggi, come quando si traduce in una sostanziale estorsione, ai danni dei sindacati e dei loro rappresentati, ammantando di consenso democratico scelte che prefigurano solo un peggioramento delle condizioni lavorative. La responsabilità sociale dell’impresa, da questo punto di vista, è una sostanziale finzione, un atto di marketing sociale volto solo a mascherare le forme più opportunistiche di una strategia che ha nel massimo risparmio su lavoro e ambiente, a favore di profitti e dividendi, il vero faro delle politiche manageriali.

Le politiche del diritto intorno ai confini della subordinazione e alla modulazione dei diritti possono orientarsi verso l’ampliamento, o piuttosto, il suo restringimento. Temi di un’attualità persino maggiore, oggi, di quando ne scrisse Supiot, pensando a uno statuto del lavoro, “al di là dell’impiego”, articolato per cerchi concentrici, fra diritti comuni fondamentali e diritti speciali, a seconda del diverso grado di assoggettamento riscontrabile, con l’inclusione del lavoro autonomo economicamente dipendente. Un progetto che ha ispirato le posizioni della Cgil, da Trentin alla Carta universale dei Diritti dei lavoratori.

Sul ruolo dell’Unione europea il giudizio è estremamente severo; dal Trattato di Maastricht alle mortifere politiche austeritarie post-2008, passando per le sentenze Viking e Laval, coerentemente saldate dalla funzionalizzazione delle istanze del costituzionalismo democratico al primato esclusivo dell’impresa e del profitto. Alla deliberazione democratica si sostituisce la governance tecnocratica, basata sul potere subdolo dei numeri e del cosiddetto ‘benchmarking’. Una Europa conquistata dalla (qui poco convincete formula di) “economia comunista di mercato”, per la quale lo Stato sociale, o i diritti sindacali come lo sciopero, “rilevano alla stregua di un mero ostacolo al Mercato unico e alle libertà economiche”. Qui i saggi possono tradire la loro datazione, posto che nell’introduzione, scritta nel luglio del 2020, Supiot prende atto di un incoraggiante mutamento di rotta, attestato dagli inediti e ingenti sforzi rivolti al contrasto delle ricadute sociali della pandemia.

Supiot si conferma critico intransigente della globalizzazione, ritenuta la causa dell’attuale secessione dei poteri reali da ogni sovranità del limite, concetto mutuato da Simone Weil, e un tempo imposti loro dalla democrazia e dal diritto. Essa è “un processo di affermazione di un Mercato totale, che riduce l’umanità a una polvere di particelle contraenti mosse dal loro unico interesse, e gli Stati a strumenti di attuazione delle ‘leggi naturali’ rivelate dalla scienza economica, fra le quali al primo posto l’appropriazione privatistica della terra e delle sue risorse”. La sua hybris conduce a non individuare alcun limite, condannando ad impattarvi, a costi che però pagano solo i più deboli.

L’orizzonte dev’essere invece, e non possiamo che essere d’accordo con lui, quello di una ‘mondializzazione’ in cui un dovere diffuso di solidarietà diviene “la risposta giuridica alla crescente interdipendenza dei popoli, e solo esso può consentire di far fronte ai problemi del pianeta rispettandone la libertà e la diversità”.

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