Umbria, sanità sempre più verso il privato - di Mauro Moriconi

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Per anni il sistema della nostra regione è stato indicato (anche con qualche ragione) come modello tra i migliori del Paese, e ha rappresentato uno dei cardini della coesione sociale che ha caratterizzato la fase più luminosa del regionalismo umbro. Ma la stagione dei tagli di spesa continui e indiscriminati al Ssn, con responsabilità anche dei governi regionali precedenti, non ha risparmiato l’Umbria e ha influito negativamente sulle condizioni dei servizi e delle prestazioni.

Importanti criticità si erano manifestate già da tempo. La riorganizzazione della rete ospedaliera ha prodotto una considerevole riduzione dei posti letto negli ospedali periferici, provocando ripercussioni anche sull’Azienda sanitaria di Perugia; gli elevati tempi di attesa e i costi dei ticket per le prestazioni specialistiche hanno reso sempre più attrattivi e competitivi i sistemi privati, soprattutto nel campo della diagnostica; il mancato rafforzamento dell’offerta di salute nei territori; i Distretti sanitari che non hanno svolto in modo strutturale la funzione di medicina territoriale; la mancata realizzazione delle Case della Salute.

Premesso questo, il sistema sanitario umbro è entrato in crisi nella fase della gestione della pandemia, e pesanti sono le responsabilità di questa giunta regionale nella gestione dell’emergenza. Non sono stati approntati nei tempi dovuti (cioè durante l’estate scorsa, quando la pandemia aveva concesso una tregua) piani organizzativi per gestire la seconda ondata, ma si è atteso che la pandemia riprendesse vigore (alla fine di ottobre) per varare un “piano di salvaguardia” della sanità umbra con la previsione di ampliamento delle terapie intensive. Piano peraltro discutibile e raffazzonato, basti pensare alla individuazione degli ospedali Covid a Spoleto e nella Media Valle del Tevere, che hanno prodotto una drastica riduzione dei servizi per territori molto vasti e popolati. Ma la risposta sanitaria pubblica (non solo per il Covid, anche per patologie più banali e comuni) allo stato attuale non è sempre garantita su tutto il territorio regionale. E se la situazione non è collassata lo si deve principalmente all’impegno e allo spirito di abnegazione profuso dal personale, costretto in molti casi ad operare in condizioni di grande difficoltà.

La confusione continua a regnare sovrana nella gestione delle vaccinazioni, che vede la regione umbra in netto ritardo rispetto al resto del Paese, soprattutto per le fasce di età più a rischio (over 60). E non si capisce quali siano i criteri adottati, né a cosa serva la preadesione proposta ai 50-59enni, se non a gettare fumo negli occhi per coprire i ritardi.

Certamente non stupisce che la giunta regionale dell’Umbria, a trazione veneto-leghista, si adoperi per il depotenziamento dell’offerta sanitaria pubblica a tutto vantaggio delle strutture private: lo avevano dichiarato in campagna elettorale e i comportamenti sono conseguenti. Non vi è traccia delle assunzioni di personale che si erano impegnati a realizzare, sottoscrivendo anche un verbale di riunione con il sindacato, e le linee guida del nuovo piano sanitario non sembrano andare nella direzione che sarebbe necessaria: riposizionare al centro dell’azione pubblica la prevenzione e l’educazione sanitaria, e non solo la cura della malattia; un giusto rapporto tra posti letto negli ospedali e popolazione, allineandoli agli standard europei. Soprattutto investimenti sulla sanità territoriale, perché è evidente che se i cittadini non trovano risposte sul territorio, saranno costretti a cercarle rivolgendosi agli ospedali o alla sanità privata.

Serve però un cambio anche culturale di approccio che recuperi i principi fondamentali (universalità, uguaglianza, equità) che ispirarono la riforma del 1978 che istituì il Ssn, e che possa contribuire alla ricostruzione di una consapevolezza tra le lavoratrici e i lavoratori della centralità del Servizio sanitario pubblico come unico strumento in grado di assicurare la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantire cure gratuite agli indigenti così come previsto dalla Costituzione. Consapevolezza minata da anni di politiche neoliberiste, che proprio nella fase pandemica hanno dimostrato tutti i limiti, ma hanno pervaso anche ampi settori del centrosinistra, e purtroppo permeato anche il sentire comune di molti lavoratori e lavoratrici.

Rendere esigibile il diritto alla salute delle persone in ogni fase della propria vita; valorizzare il lavoro di tutte e tutti coloro, operatori e operatrici, che rendono questo materialmente possibile; rendere il Servizio socio-sanitario nazionale davvero pubblico e universale: sono tutti obiettivi su cui una grande organizzazione sindacale come la nostra deve continuare a impegnarsi.

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