Contrattazione e mobilitazione per gestire lo sblocco dei licenziamenti e condizionare le politiche di sviluppo - di Paolo Righetti

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Sul documento sottoscritto da parti sociali e governo a fronte dello sblocco dei licenziamenti si possono esprimere valutazioni profondamente diverse. Da una parte, la “Presa d’atto” è una formula un po’ pasticciata e confusa, che nella sostanza contiene esclusivamente una raccomandazione all’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione in alternativa alla risoluzione del rapporto di lavoro, e un auspicio alla rapida definizione della riforma organica degli ammortizzatori sociali.

Quest’ultimo è un impegno importante come obiettivo e come urgenza, ma forse è proprio l’aspetto più sottovalutato. Il testo fa riferimento a principi condivisi ma non esplicitati e rimane, quindi, tutta aperta la partita strategica dei contenuti della riforma, dove sono in gioco l’universalità del sistema, le modalità del finanziamento, e la priorità dell’utilizzo di tutti gli ammortizzatori in alternativa all’apertura delle procedure di licenziamento.

Dall’altra parte, va tenuto conto di come si era arrivati al blocco e soprattutto di come si era evoluto il contesto politico-istituzionale fino alle manifestazioni del 26 giugno. Il blocco dei licenziamenti, con la contestuale estensione degli ammortizzatori, è stato un provvedimento eccezionale, unico nel panorama europeo, frutto della pressione e della mobilitazione del movimento sindacale nella fase iniziale della pandemia, che ha portato anche alla sottoscrizione dei Protocolli per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e al blocco delle attività non essenziali nella fase più critica.

Ma si è trattato appunto un provvedimento eccezionale, che sarebbe stato necessario prorogare fino a fine anno o almeno fino a ottobre, ma che non era nelle intenzioni politiche del nuovo governo, e continuamente messo in discussione da una forte pressione lobbystica e mediatica.

L’intesa non dà nessuna certezza o garanzia sul piano normativo e giuridico, che poteva determinarsi solo con la proroga di legge, ma rispetto a una decisione già assunta nel Consiglio dei ministri rappresenta un’uscita più avanzata, senza una vera praticabile alternativa.

Oltre al decreto, che prevede un ulteriore periodo di 13 settimane di cigs, l’ “Avviso comune” esplicita un impegno politico del governo e di Confindustria che va rivendicato ovunque, e che può aiutare l’iniziativa sindacale e la contrattazione dei processi di riorganizzazione e di gestione delle crisi. Ancor di più laddove, come si sta già verificando anche in aziende aderenti a Confindustria, se ne freghino completamente delle “raccomandazioni” condivise, e chiamando alla loro responsabilità Regioni, prefetture, associazioni datoriali, con le necessarie iniziative di lotta.

C’è il rischio concreto di un ricorso pesante e strumentale ai licenziamenti. In Veneto si stimano circa 30mila posti di lavoro a rischio, a partire dai 30 tavoli di crisi aziendali già aperti, che si aggiungerebbero agli 80mila comunque già persi durante la fase emergenziale. Se esistono problemi produttivi veri si devono utilizzare prima gli strumenti alternativi, che ci sono e sono economicamente vantaggiosi. Sarebbe inaccettabile un ricorso ai licenziamenti non motivato da una effettiva contrazione delle attività ma finalizzato all’ulteriore compressione del costo del lavoro, a un ulteriore flessibilizzazione e deregulation dei rapporti di lavoro, per poi magari riassumere con contratti a termine e precari.

Soprattutto, la mobilitazione generale non può fermarsi alle manifestazioni del 26 giugno: questo l’impegno fondamentale che la Cgil deve assumere. Dovremo essere pronti a rilanciarla subito se la fine del blocco dovesse tramutarsi in un disastro sociale, e se i contenuti della riforma degli ammortizzatori non dovessero essere coerenti con le nostre rivendicazioni.

Dobbiamo darle continuità, anche per incidere su un Pnrr per molti aspetti incoerente, inadeguato e insufficiente, e poi in autunno sulla legge di Stabilità, per sostenere le piattaforme unitarie su fisco, previdenza, tutela della salute, diritti sociali e civili, legalità, per orientare e condizionare i processi di riorganizzazione e riconversione produttiva innescati dall’innovazione tecnologica, dalla transizione ecologica e da quella digitale, per garantire la salvaguardia e la tutela dell’ambiente, del territorio e dei beni comuni.

L’incremento dell’occupazione e il miglioramento della sua qualità per la Cgil rappresentano una priorità assoluta e un obiettivo strategico, cartina di tornasole delle scelte strategiche, degli investimenti e delle riforme che si mettono in campo. Sono questi i principali obiettivi di quel cambiamento radicale del modello economico e sociale che da tempo rivendichiamo, e che dobbiamo trasmettere prima di tutto al nostro gruppo dirigente e all’intera nostra rappresentanza, incrementando il più possibile i momenti di coinvolgimento e partecipazione. Un percorso indispensabile per sostenere adeguatamente qualsiasi mobilitazione. l

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