Alitalia-Ita e crisi del trasporto aereo - di Ivano Panzica

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Serve un piano industriale che dia solidità alla compagnia, risposte occupazionali certe a tutto il personale diretto e dell’indotto, salvaguardia delle condizioni salariali e contrattuali. 

La storia di Alitalia si intreccia a doppio filo con la storia del trasporto aereo in Italia, fino a diventarne simbolo e paradigma: una storia di graduale declino negli ultimi trent’anni, a causa di errori nelle strategie industriali, di scenari avversi, ma anche delle responsabilità della politica che ha spesso visto nella compagnia di bandiera un terreno da lottizzare.

In tempi più recenti la compagnia di bandiera è passata dalle vicende disastrose del 2009 dei “capitani coraggiosi” del governo Berlusconi all’altrettanto disastrosa acquisizione nel 2013 da parte della compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti Etihad, che non eviterà nel 2017 l’amministrazione straordinaria.

Nell’ultimo decennio, l’organico di Alitalia si è ridotto da 19.300 agli attuali 11mila dipendenti, e la flotta è passata da 181 a 118 velivoli. All’inizio del 2020 salta la vendita della compagnia a una cordata capitanata da Fs, con partner commerciale Atlantia e partner industriale la compagnia americana Delta. A fine 2020, con il decreto legge ‘Cura Italia’, il ministero dell’Economia e delle finanze acquisisce il 100% delle azioni di Alitalia, che viene dunque nazionalizzata. Si procede poi alla nomina di Francesco Caio, in qualità di presidente, e di Fabio Lazzerini come amministratore delegato. La nuova società pubblica viene nominata Ita (Italia trasporto aereo).

Tra il 1974 e il 2016, Alitalia ha accumulato perdite per 9 miliardi. Dal 1974 a oggi lo Stato ha speso per Alitalia 10,6 miliardi. Di questi, quasi la metà sono stati spesi negli ultimi dieci anni, cioè dopo la privatizzazione del 2008. Ciò evidenzia bene come il rapporto tra la compagnia e lo Stato non si sia affatto interrotto dopo la privatizzazione.

Nella costituzione di Ita, la Commissione Ue, ricordando che Alitalia è in perdita da anni, sostenuta da finanziamenti pubblici, impone che la nuova compagnia nasca in discontinuità, e che lo Stato dimostri che i miliardi che verserà a Ita - probabilmente meno dei 3 previsti - siano un’operazione di mercato, profittevole, che qualsiasi investitore privato avrebbe fatto.

I nodi che emergono in questa interlocuzione con la Commissione europea sono fondamentalmente gli slot che devono essere ceduti, come quelli di Linate e Fiumicino; le quote societarie che Ita potrà avere nei servizi di handling e nella manutenzione dopo una gara aperta; la necessità di modificare il brand (non potrà essere uguale a quello di Alitalia), e di non trasferire alla nuova società il programma Millemiglia.

Ita presenta un piano industriale che prevede una flotta iniziale di 52 aerei (rispetto a1 118 di Alitalia), che potrà crescere nel periodo del piano fino a 105 nel 2025, e una riduzione drastica del personale dagli attuali 11mila circa a 2.800 in fase iniziale, per raggiungere a fine piano nel 2025 circa 5.700 dipendenti, che potrebbero aumentare qualora Ita si aggiudicasse le gare bandite relative alle attività di “ground handling” e “manutenzione”, con una quota aggiuntiva di circa 3.950 dipendenti.

Le organizzazioni sindacali e la Filt Cgil nazionale hanno da subito ribadito la necessità di entrare immediatamente nel merito del progetto industriale, giudicato insoddisfacente in termini industriali e occupazionali, per renderlo idoneo alla nascita di una vera compagnia di bandiera. Infatti, non si può prevedere una flotta di solo 52 aeromobili e si devono includere nell’ambito perimetrico della società gli asset rappresentati dalla manutenzione e dall’handling. Così come si deve puntare sul mercato intercontinentale più profittevole, invece trascurato nel piano industriale presentato. Questo nell’ottica di porre le basi per una compagnia in grado di confrontarsi con la concorrenza, e non di esserne stritolata, e di garantire prospettive occupazionali per tutti i lavoratori dell’ex gruppo Alitalia.

I sindacati hanno anche presentato al management una proposta di protocollo di relazioni industriali per porre immediato rimedio alla pericolosa decisione assunta da Ita di uscire dall’ambito del Contratto nazionale del trasporto aereo, esponendo così i lavoratori a inaccettabili proposte di contratti di lavoro o, peggio, regolamenti aziendali unilaterali, disastrosi per tutte le categorie di lavoratori di terra e di volo, che vedrebbero pesantissime decurtazioni rispetto alle già risicate retribuzioni attuali e pesanti penalizzazioni in materia di normativa contrattuale.

Per il momento la posizione di Ita è stata di netta chiusura, e la partenza della nuova compagnia prevista per metà ottobre vede ancora le parti in forte contrasto sul contratto e le condizioni economico-normative da applicare ai lavoratori della nuova società.

È stata infine sollecitata la convocazione di un tavolo governativo, indispensabile per discutere non solo il piano industriale, garantire l’occupazione, la formazione il mantenimento delle certificazioni e abilitazioni, ma anche attivare gli ammortizzatori sociali necessari ad accompagnare il piano industriale di Ita per tutta la sua durata, sempre nell’ottica di garantire che nessuno sia lasciato indietro.

È inoltre necessario sanare le condizioni di pratiche anticoncorrenziali che hanno fortemente penalizzato tutte le aziende di trasporto aereo italiane; è ancora imperativo mantenere una compagnia di bandiera, campione dell’interesse nazionale di quella che è la seconda nazione manifatturiera d’Europa, e meta di attrazione turistica di prima grandezza; è ancora doveroso dare risposte alle quasi 11mila famiglie, più altri 30mila lavoratori dell’indotto, e liberarle dall’incertezza di una insensata riduzione della dimensione dell’azienda, già tentata in lodi fallimentari passati.

Il protrarsi della gravissima crisi che ha investito il comparto aereo per effetto della diffusione della pandemia da Covid-19 vede la necessità di affrontare la profonda crisi strutturale e occupazionale che minaccia di travolgere l’intera filiera del trasporto aereo, di cui la vicenda di Alitalia-Ita è solo la punta dell’iceberg.

L’andamento del traffico aereo registrato in Italia nei primi otto mesi del 2021 evidenzia una contrazione di circa il 60% dei voli rispetto all’analogo periodo del 2019. Ciò a valle di un 2020 con un andamento ancora più critico per la riduzione dei volumi e il calo di fatturato, con i conseguenti impatti negativi sui risultati economici.

Le più recenti previsioni da parte di autorevoli enti nazionali ed internazionali prevedono una ripresa del traffico aereo, con volumi paragonabili al periodo ante pandemia, tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Alla luce di quanto sopra, in mancanza di immediate misure di sostegno, vi è l’ineluttabile certezza che la maggior parte delle aziende della filiera del trasporto aereo (volo, gestori aeroportuali, handlers, catering) si troverà a fronteggiare, a breve, una condizione di crisi ancor più profonda, con forti rischi di impatto sociale.

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