Elezioni in Iraq, fra mobilitazione di piazza e spartizione settaria - di Fabio Alberti

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Ora in piazza Tahir – occupata per due anni dai giovani iracheni in rivolta - le tende le stanno montando i partiti legati alle milizie filoiraniane che hanno perso le elezioni anticipate. Il tentativo, con accuse di brogli e minacce di ripresa della violenza, in un braccio di ferro che ha riportato il paese sull’orlo del conflitto civile, è quello di invalidare di fatto le elezioni riportando il sistema politico alla “muhasasa”, l’accordo di spartizione settaria del potere.

Nelle elezioni, definite dagli osservatori dell’Onu le più trasparenti della storia irachena, le urne qualcosa hanno detto, risentendo di quello che chiedeva la “Thawra Tishreen”, la rivoluzione d’ottobre. L’affluenza dice già qualcosa. “La partecipazione è stata deludente per molti, un segnale che dovrebbe essere colto”, è il primo commento della rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Iraq, all’annuncio delle percentuali di partecipazione ai seggi il 10 ottobre.

Al voto anticipato, richiesto e ottenuto, con le dimissioni del governo, dal movimento di giovani che dall’ottobre 2019 ha riempito le piazze, ha partecipato un risicato 41% dei registrati, il tasso più basso nelle cinque elezioni tenute dopo l’invasione statunitense. A Baghdad, epicentro delle proteste, poco più del 30%. Percentuali ancora peggiori se si tenesse conto degli aventi diritto non registrati nelle liste elettorali.

Erano stati gli stessi manifestanti, e gran parte dei coordinamenti delle proteste, a chiamare al boicottaggio di fronte al permanere di condizioni di inagibilità politica considerate insostenibili. Con oltre 600 attivisti uccisi e decine di scomparsi, il movimento di piazza chiedeva che i responsabili fossero assicurati alla giustizia. Le violenze nei loro confronti sono invece continuate, con candidati e militanti che si sono dovuti nascondere o scappare.

Il boicottaggio, promosso dalle piazze, dal partito comunista, e da nuove formazioni nate dalle proteste, si è sommato a una diffusa disillusione sulla possibilità di riformare il sistema politico settario e corrotto instaurato dall’occupazione statunitense, e alimentato dalla contesa Iran-Usa che tiene il paese in scacco.

A quasi venti anni dall’occupazione Usa e dalla caduta di Saddam nel paese mancano ancora acqua potabile ed elettricità, mentre decine di miliardi di dollari di aiuti e di proventi del petrolio sono scomparsi nella gestione clientelare e settaria del potere.

Significativa comunque l’affermazione dei candidati indipendenti e delle forze politiche fondate da quei leader delle piazze che non hanno chiamato al boicottaggio. A Nassiryia, dove le proteste sono state più estese e durature e la repressione più brutale, il movimento “Imtidad” (Estensione), fondato da attivisti locali, ha sfidato i partiti tradizionali riuscendo ad eleggere 9 deputati. “Imtidad” è risultato il primo partito in quattro dei cinque distretti di Dhi Qar, conquistando 5 dei 19 seggi della provincia. Un’affermazione netta, favorita anche dalla forte internità del movimento di protesta giovanile con la constituency popolare locale. Non è detto che questo si sarebbe ripetuto in tutto il paese, ma è un segno che la protesta giovanile ha messo radici.

Dallo spoglio dei voti emerge una forte affermazione del movimento di Muqtada Al Sadr (da 54 a 73 seggi), leader sciita che è stato per un periodo vicino alle proteste e sostiene una politica di liberazione del paese dalle ingerenze straniere, l’allontanamento delle truppe Nato (che da aprile ‘22 avranno purtroppo una guida italiana), ma anche il disarmo delle milizie filoiraniane.

Arretrano le coalizioni politiche collegate alle milizie armate, considerate responsabili di gran parte delle violenze contro i manifestanti, a cominciare da “Fatah” (Vittoria), seconda coalizione nel 2018, che passando da 48 a 14 seggi si colloca ora dopo la coalizione sunnita “Progresso”, guidata dal presidente del Parlamento. La lista presentata da “Kataib Hetzbollah”, forse la più radicale delle fazioni al soldo di Teheran, ha fatto un buco nell’acqua. E non per caso ha avviato per prima la contestazione dei risultati.

Nel suo complesso, il risultato risente delle mobilitazioni di questi anni e potrebbe favorire la prosecuzione del tentativo dell’attuale primo ministro Mustafa Al-Kadhimi di collocare l’Iraq come mediatore nello scontro tra le potenze locali, ospitando i colloqui, finora segreti nei risultati, tra Iran e Arabia Saudita, e guadagnare un po’ di autonomia dagli ingombranti vicini. Ma dalla società civile irachena si sottolinea come permanga al potere la stessa classe politica che ha portato il paese allo sfascio, e lo stesso sistema di spartizione settaria del potere.

“Boicottare il voto è stato un altro modo per prolungare la mobilitazione …, oltre che per attirare l’attenzione della comunità internazionale. La società civile è in attesa, vediamo cosa farà questo governo e se sarà necessario torneremo a scendere in strada”, ha dichiarato Batool Hamdi, co-segretaria dell’Iraqi Social Forum, che nei primi giorni di novembre terrà il suo settimo incontro nazionale.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search