A sorpresa... ma non troppo. La criminalizzazione israeliana di sei Ong palestinesi - di Alessandra Mecozzi

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Nessuno si aspettava in Israele che da un governo come quello di Naftali Bennet, formatosi a giugno con una esigua e molto composita maggioranza, potesse arrivare un atto di tale sfrontatezza come dichiarare terroriste sei tra le più riconosciute e stimate Ong palestinesi.

La fragile e strampalata maggioranza aveva fatto pensare che il governo si sarebbe dedicato alle questioni economiche e sociali anche in vista della imminente votazione della legge di bilancio, lasciando da parte la più spinosa “questione palestinese”; mentre la destra (Likud) manifesta contro il governo, accusandolo di presentare un budget a sostegno del terrorismo, additando la United Arab List, il partito islamista della coalizione. Addirittura Regev (ex ministro) ha detto ai manifestanti: “Bennett ha formato il primo governo palestinese della storia”.

C’è forse anche questo dietro l’ordine militare emesso dal ministro della difesa Benny Gantz il 19 ottobre contro sei Ong, definendole “terroriste”? Le Ong sono: Al-Haq, importante centro per i diritti umani dal 1979; Addameer, che dal 1991 offre aiuto legale gratuito ai prigionieri, in carceri palestinesi e israeliane; Defense for Children International-Palestine, per la protezione e promozione dei diritti dei bambini; Bisan Center for Research and Development, dal 1989 impegnata in aree emarginate e rurali; Union of Palestine Women’s Committees, dal 1980 attiva per diritti delle donne; Union of Agricultural Work committees, dal 1989 per la tutela dei contadini e lo sviluppo agricolo.

L’ordine è stato emanato in base alla legge antiterrorismo del 2016, con l’accusa, senza prove, di avere rapporti con il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (nella lista dei “terroristi” anche in Canada, Stati Uniti e Unione Europea). L’articolo 24 (a) impone fino a tre anni di carcere a chiunque “commetta un atto di identificazione con un’organizzazione terroristica, anche pubblicando parole di lode, sostegno o simpatia”. L’attacco diffuso contro la società civile della popolazione occupata ha origini lontane (1967) e si è inasprito dopo l’11 settembre 2001, quando i soggetti statali autoritari hanno iniziato ad abusare delle leggi e delle politiche antiterrorismo, contro la difesa dei diritti umani e il dissenso.

Tuttavia la decisione di Gantz è così pesante e internazionalmente condannata come un attacco al movimento internazionale per i diritti umani (Human rights Watch e Amnesty international), che anche nella società israeliana sono numerose le espressioni di condanna, con la richiesta di ritiro della decisione, e la sollecitazione ai Paesi donatori di garantire la continuità dei propri finanziamenti alle Ong.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato l’espressione di condanna e solidarietà di ventidue organizzazioni israeliane e continua a pubblicare articoli fortemente critici della decisione Gantz. La giornalista Amira Hass (26 ottobre) si dichiara “finanziatrice” del terrorismo, in quanto una parte delle sue tasse va a sostegno delle politiche israeliane, per vari aspetti assimilabili a terrorismo: raid armati notturni, con fucili e cani; arresti arbitrari di chi raccoglie le olive; detenzione di minori...

Sono voci che chiedono un intervento efficace della comunità internazionale, che però finora ha risposto, nei casi migliori, come quello dei relatori speciali ed esperti delle Nazioni Unite, con dichiarazioni di condanna e richiesta di ritiro della decisione. In Italia poi il silenzio istituzionale è pressoché totale. Qua e là è stata espressa “preoccupazione”, ma nessun atto formale è stato finora fatto, nonostante le lettere da associazioni e personalità sulle scrivanie del presidente del Consiglio e del ministro degli Esteri. Né l’Unione europea si è fatta sentire o ha agito con qualche efficacia.

Alla base della scelta israeliana ci sono almeno due motivazioni. Per un verso i progressi delle Ong, con le denunce pubbliche e argomentate sull’apartheid e il loro ricorso alla Corte penale Internazionale: la società civile palestinese ha agito perché siano perseguiti gli israeliani responsabili di crimini di guerra (incluso probabilmente anche Benny Gantz) dalla Cpi dell’Aia, sollecitando in tal senso anche l’Autorità palestinese; d’altro canto c’è la permanente impunità di Israele, a cui mai è stato fatto pagare un prezzo per i suoi crimini dalla comunità internazionale, inclusa l’Unione europea, come avvenuto per altri Paesi.

Questo doppio standard storico mina alle radici la forza, anche morale, del diritto come dei diritti umani e l’ordine internazionale su di essa basato. È quindi tempo che la comunità internazionale come i singoli Stati uniscano alla condanna azioni nei confronti di chi da troppo tempo ha oltrepassato la soglia della legalità: dalla sospensione di accordi commerciali preferenziali a quella della partecipazione di Israele a programmi di ricerca europei, finché Israele non entri nel campo della legalità.

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