Catania: “Ci vediamo al molo di Levante” - di Valentina Ruffino

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“Ci vediamo al molo di Levante”, è questo il messaggio che rimbalzava da una chat all’altra sabato 5 novembre. La nave Humanity1 era appena arrivata al porto di Catania. La sera, tra le varie chat, inizia a circolare la richiesta di sostegno da parte dei primi arrivati al molo di Levante: “Serve aiuto, non hanno ancora autorizzato lo sbarco, dobbiamo mobilitarci”. Il giorno dopo al molo eravamo tantissime e tantissimi. C’erano la Rete antirazzista di Catania, l’Arci, la Rete degli studenti medi, la Cgil, l’Usb, la Comunità di Sant’Egidio, i militanti e le militanti di Sinistra italiana e Verdi, del Pd, di Potere al popolo, tante associazioni della città. Il presidio permanente aveva appena preso vita, al grido “se non scende l’ultimo, noi non ce ne andiamo”.

Dopo qualche ora e dopo un paio di ispezioni sanitarie a bordo dell’Humanity1, apprendiamo che, dei 179 migranti presenti a bordo, sarà concesso lo sbarco a 144. Parliamo con alcuni membri dell’equipaggio, ci dicono che per i restanti 35 uomini è stata dichiarata una condizione fisica di buona salute e, per tale motivo, non viene concesso loro di scendere dalla nave. Passano le ore e il capitano della nave ci racconta di aver ricevuto l’ordine di lasciare il porto con a bordo i 35 migranti dichiarati in stato di buona salute. La buona notizia è che il capitano dell’Humanity1, forte anche delle norme del codice marittimo, non ha alcuna intenzione di lasciare il porto se non verrà prima concesso a tutti i migranti di scendere. A bordo dell’Humanity1 stanno per salire anche gli onorevoli Provenzano e Soumahoro.

La protesta diventa sempre più grande. Passano le ore, verso le cinque del pomeriggio veniamo invitati da un gruppo di compagni a spostarci al varco numero 10: sta per arrivare la Geo Barents di Medici Senza Frontiere, con a bordo 570 naufraghi. Ci spostiamo in massa, trattiamo con la Digos per avvicinarci e, con tutto il fiato rimasto, cerchiamo di far sentire la nostra voce all’interno della nave. Quegli uomini, quelle donne e quei bambini ci sentono, battono i piedi, ci salutano con la mano, sventolano le loro magliette per farsi vedere da noi.

La notte sarà lunga e fredda al porto di Catania soprattutto per chi, dopo aver viaggiato per mesi, non vede l’ora di mettere piede in un posto più sicuro di quello da cui proviene. Finalmente dopo il tramonto vediamo arrivare degli autobus, dopo pochi minuti vengono fatti salire circa 50 migranti, perlopiù minorenni con le proprie famiglie. Noi li salutiamo, si diffonde un applauso, hanno gli occhi stanchi ma felici, ricambiano il saluto.

Lunedì 7 eravamo ancora lì. Le due navi ancora al porto. Tra una protesta e l’altra coglievamo l’occasione per parlare con i membri dell’equipaggio delle due navi; ci raccontavano che alcuni e alcune a bordo della nave avevano smesso di mangiare perché troppo impauriti dalla possibilità di essere rispediti in Libia; ci raccontavano che sulla Geo Barents era in corso un’epidemia di scabbia. Martedì 8 ci dirigiamo prima davanti all’Humanity1 e subito dopo raggiungiamo la Geo Barents. Davanti al varco chiediamo alle forze dell’ordine di poter passare, spieghiamo che siamo lì in sostegno dei migranti. Uno di loro, con sorriso beffardo, ci dice: “E per la mia bolletta del gas chi protesta?”. Lo guardo e gli chiedo: “Mi scusi, tra i suoi parenti ed amici in quanti sono emigrati all’estero in cerca di una vita migliore?”. L’agente mi risponde: “In molti, perché?”. “Perché i suoi parenti e amici hanno il diritto di cercare la propria fortuna altrove e loro no? Forse perché sono neri? Arrivederci agente”.

Al nostro passaggio il varco viene chiuso, e noi ci ritroviamo in quattro davanti alla Geo Barents insieme ai giornalisti. Al resto del presidio viene impedito di entrare. Nel frattempo arrivano anche le navi da crociera pronte ad imbarcare turisti con lo zainetto sulle spalle e il trolley tra le mani. Per un attimo il varco numero 10 è scenario di vite felici e di vite ‘piegate’, da un lato i viaggiatori e dall’altro lato i migranti.

Finalmente fuori dal varco sentiamo le voci degli studenti e delle studentesse del Liceo Spedalieri di Catania che, per l’occasione, hanno indetto uno sciopero e ci hanno raggiunti al porto con i loro megafoni e i loro sguardi pieni di passione e sogni. “Io devo scappare al lavoro adesso”, ho detto salutando. Ma c’erano già dietro di me altre compagne e altri compagni pronti a darmi il cambio, perché ci tenevamo davvero ad esserci, ci tenevamo a fare sentire la nostra voce, ci tenevamo a dire che nessun individuo dovrebbe arrogarsi il diritto di decidere della vita di un altro uomo, ci tenevamo a dire che tutto questo progresso non vale nulla se nel 2022 il posto del mondo in cui nasci può determinare la tua fortuna o la tua disgrazia.

Ci tenevamo a dire che, dopo aver derubato e sfruttato per secoli il continente africano, l’intero occidente deve prendersi le sue responsabilità e smetterla di girarsi dall’altra parte. Mentre ero al lavoro ha ricevuto dai compagni il messaggio più bello: “Vittoria”.

 

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