Di fronte a istituzioni “distratte”, rilanciamo la priorità dei diritti degli anziani - Michele Lomonaco

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Legge sulla “non autosufficienza”, tutela degli ospiti delle Rsa e vaccinazione immediata degli over 80 non sembrano rientrare tra le priorità di questa società. Lo devono diventare. È un’affermazione oggettivamente un po’ forte, ma le circostanze e il momento la giustificano pienamente. Continua la scarsa attenzione, se non il disinteresse per le sorti, la salute, le condizioni di vita di milioni di anziani non autosufficienti, ed anche di quelli nella pienezza delle loro funzioni.

Partiamo dalle Rsa e da quello che a distanza di un anno possiamo continuare a chiamare strage perpetrata, soprattutto in Lombardia, ai danni di decine di migliaia di ospiti e di operatori che, a causa di una gestione scellerata della lotta al coronavirus, hanno pagato con la vita e con la malattia la criminale noncuranza che ha permesso un contagio diffuso e letale in moltissime realtà.

Grande indignazione che siamo riusciti a suscitare come sindacati e come rappresentanti dei familiari dei ricoverati, ma in pratica quasi nessuna responsabilità riconosciuta e nessun mea culpa o pentimento da parte di chi ha gestito malissimo quelle situazioni, e soprattutto nessuna rimozione dei responsabili. L’unica significativa sostituzione è avvenuta ai vertici della giunta lombarda con la Moratti al posto di Gallera. Ma già dai primi atti compiuti e dichiarazioni fatte possiamo dire tranquillamente: dalla padella alla brace.

Passiamo alla promessa mai mantenuta di una legge sulla non autosufficienza. Sembravamo più vicini a una possibile legge con l’ultimo governo Conte, che aveva aperto un tavolo di confronto. Ora con Draghi ci auguriamo di riprendere quel confronto, ma certezze zero. Intanto milioni di non autosufficienti, anziani e non, continuano ad attendere norme sacrosante che migliorino drasticamente le loro condizioni, e sollevino materialmente ed economicamente la vita dei loro familiari.

Ora la ciliegina, che ha riguardato in maniera più specifica e particolare la Lombardia ma anche altre regioni, e cioè la pessima gestione con cui è stata affrontata la vaccinazione degli over 80. Prima un sistema di prenotazioni complesso e fallace che ha messo in difficoltà e in ambasce centinaia di migliaia di anziani, che si sono visti prima convocare anche a distanze ragguardevoli rispetto all’abitazione, poi disdettati con semplici sms, poi lasciati nell’incertezza su cosa fare. Il tutto comunque con tempi dilatati di somministrazione, e in aperto contrasto con la priorità assoluta che invece dovrebbe rappresentare il vaccinare chi ha più di 80 anni.

Ci hanno detto che l’età media dei decessi è 81 anni, che gli ospedali e le terapie intensive sono prevalentemente occupate dagli ultra ottantenni, che la stragrande maggioranza delle chiamate per Covid sospetto e per tampone conseguente sono per gli over 80. Quindi, deduzione logica, prima li vacciniamo e prima stoppiamo i decessi (quindi salviamo vite umane), liberiamo ospedali e terapie intensive, solleviamo ambulanze, medici di medicina generale e Usca… o no?

Ho citato solo tre corni di un problema molto più vasto e che è legato all’invecchiamento e al rapporto che questa nostra società deve essere in grado di stabilire con una parte crescente della propria composizione anagrafica: sempre meno giovani e sempre più over 65. Non a caso da anni lo Spi e le organizzazioni sindacali dei pensionati propugnano l’invecchiamento attivo, il benessere psico-fisico dell’anziano in ambito familiare, l’assistenza domiciliare in luogo del ricovero in Rsa, e la trasformazione dei luoghi di degenza in siti aperti con socialità accresciuta e assistenza medica potenziata.

Però, non essendo “gli anziani” una delle tante lobby che amano sbraitare per far valere il loro corporativismo, anche durante la pandemia siamo stati il più delle volte snobbati, dimenticati, messi in fondo alle priorità. Ma riprendendo l’affermazione iniziale, e ricomprendendo la generalità dell’accezione dell’anziano (gli over 65 in Italia sono circa 14 milioni), vi assicuriamo che le organizzazioni sindacali che ci rappresentano (prima fra tutte lo Spi Cgil) sapranno rappresentarci al meglio nei confronti delle varie controparti, e se necessario sapranno mobilitarci per la conquista di quei diritti a cui non siamo disposti a rinunciare. E che nulla hanno di corporativo perché, se riconosciuti, porterebbero un netto miglioramento della socialità e della convivenza civile dell’intero Paese.

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