Silvano Cogo, un sindacalista sempre tra i lavoratori - di Marco Benati

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Quest’estate, dopo alcuni mesi di malattia, ci ha lasciato il compagno Silvano Cogo, da alcuni anni in pensione dopo una lunga militanza nella Cgil di Padova. Silvano era un operaio caposquadra, fin da giovane impegnato nel sindacato. Distaccato negli anni ’90 dalla Cgil, ha operato prima nella Slc, poi nella Filt e per molti anni, fino alla pensione, nella Fillea.

L’edilizia era un mondo che conosceva bene: da operaio aveva girato per i cantieri di tutta Italia per la posa e la manutenzione dei giunti su ponti e viadotti. La scintilla per l’impegno politico e sindacale gli era scoccata da giovane, quando negli anni ’70 aveva frequentato un corso dopo-lavoro di economia e politica. Aveva trovato una struttura culturale per sviluppare la sua filosofia di vita e la sua sensibilità verso i temi fondamentali della pace, l’ambiente, il lavoro, la cooperazione internazionale, valori che si basavano sulla sua totale propensione ad impegnarsi per dare riscatto a chi non aveva riconosciuta la sua dignità.

La forza in più che aveva Silvano era quella di volere sempre praticare concretamente le sue idee e i suoi valori. Al suo funerale, è stato ricordato quando, nei primi anni ’70, fu licenziato un operaio della fabbrica vicino alla sua, perché condannato per obiezione al servizio militare, e Silvano organizzò immediatamente scioperi e picchetti, fino all’ottenimento del reintegro di quell’obiettore di coscienza.

Silvano ha sempre avuto uno sguardo dritto e aperto per comprendere le contraddizioni dei decenni in cui ha vissuto, trasversale rispetto alle appartenenze politiche, uno sguardo un po’ più alto del solito. Forse per questo le sue analisi e riflessioni erano vissute a volte come provocatorie, anche per i suoi modi un po’ bruschi, mentre lui ha sempre cercato di offrire un approccio critico alla realtà del lavoro e della società, perché (come diceva) bisognava dare una scossa e stimolare più velocità di azione e reazione nel nostro fare sindacato.

A metà anni ‘90 fu tra i primi a comprendere la questione dell’arrivo di migliaia di migranti, attratti da quel nordest che aveva fame di braccia nei cantieri e nelle fabbriche ma non voleva riconoscere nuovi cittadini, con il leghismo che già stava facendo del razzismo “un sentimento popolare”. Convinse la Camera del Lavoro di Padova a impegnarsi per un primo centro di accoglienza che permetteva di dare un po’ di dignità a chi arrivava, ma anche di comprendere i cambiamenti del mercato del lavoro.

Così fu naturale anche il successivo impegno della Cgil, con Silvano, tra le associazioni che si unirono per superare il ghetto di via Anelli, un complesso di sei palazzi dove erano costretti ad alloggiare oltre 1.500 migranti. Era la questione cittadina che faceva vincere le destre, con fiaccolate per la sicurezza, ronde, ma sempre ben attente a non smontare quella realtà insopportabile che portava tanti voti. Silvano, con lo sportello della Cgil, fu un promotore del percorso politico per chiudere il ghetto, chiusura poi realizzata dalla giunta di centrosinistra ricollocando lavoratori e famiglie in abitazioni distribuite in tutta la città. Silvano era questo tipo di sindacalista, una risorsa che chi allora dirigeva la Camera del Lavoro seppe valorizzare.

La Fillea era la casa di Silvano, carismatico con i lavoratori edili che lo riconoscevano come uno di loro e apprezzato dai delegati per le sue analisi e le sue battaglie. Nel pieno del boom dell’edilizia, a inizio secolo, promosse controcorrente la campagna della Fillea padovana “Fermiamoci un momento!”, con assemblee tra i lavoratori e volantinaggi perché quella corsa al costruire spinta dalla bolla speculativa non stava portando qualità né del costruito, né del lavoro.

Come spesso ricordava, per fare il mestiere del sindacalista bisognava anche saper divertirsi, trovare gli aspetti ironici del nostro fare quotidiano. Il suo modo di fare generoso e attento verso il più debole, il suo amore per il multiculturalismo per le sue esperienze di cooperazione in centro Africa e in Palestina, e per i lavoratori erano contagiosi. Anche per questo Silvano catalizzava sempre giovani attorno a sé, compagni e compagne che volevano fare militanza sindacale e politica. Con i giovani ha dato vita all’associazione Zattera Urbana, cui sono seguite importanti esperienze per la città di Padova.

Con la pensione Silvano si è impegnato maggiormente nella Coalizione Civica, che ha riunito molte anime della sinistra padovana, e soprattutto per la nascita della Cooperativa Piovego, che impiega lavoratori disoccupati e richiedenti asilo nella manutenzione su barca dei canali di Padova. Creare lavoro utile per la collettività con chi aveva bisogno di lavoro ha rappresentato per Silvano uno dei motivi di maggiore orgoglio di tutta la sua vita.

Silvano è stato un compagno così profondo ed organico al popolo della sinistra padovana, che possiamo affermare senza retorica che continua a vivere nelle esperienze e nella militanza di molti compagni e compagne che hanno avuto la fortuna di lavorare e lottare con lui.

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