India, due giorni di sciopero contro le privatizzazioni e la disoccupazione - di Leopoldo Tartaglia

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Un massiccio sciopero di due giorni, il 28 e 29 marzo, ha coinvolto oltre 200 milioni di lavoratrici e lavoratori in India. La mobilitazione, sotto lo slogan “Salva il popolo, salva la nazione”, è stata promossa da dieci centrali sindacali – Intuc, Aituc, Hms, Citu, Aiutuc, Tucc, Sewa, Aicctu, Lpf, Utuc – e da numerose federazioni e associazioni settoriali indipendenti, per protestare contro le politiche del governo, inefficaci secondo gran parte della popolazione, per far fronte a una disoccupazione salita all’8% dopo due anni di pandemia, in una realtà economica che vede il 90% della forza lavoro impiegata nell’economia informale.

Lo sciopero ha coinvolto settori pubblici, privati, lavoratori a contratto determinato, lavoratori domestici, venditori ambulanti, i lavoratori dei Beedi (le tipiche sigarette “rollate”), i lavoratori edili, braccianti e contadini, settori come il carbone, l’acciaio, il petrolio, le telecomunicazioni, le poste, gli uffici fiscali, le miniere di rame, le banche e le assicurazioni.

I lavoratori del trasporto stradale e i lavoratori dell’elettricità si sono uniti allo sciopero, nonostante le minacce dell’ente pubblico gestore Esma negli Stati di Haryana e Chandigarh. Anche i sindacati del settore ferroviario e della difesa hanno organizzato mobilitazioni di massa a sostegno dello sciopero in diverse centinaia di località. Lo sciopero, a cui hanno aderito anche i lavoratori del trasporto, ha paralizzato molte aree dell’immenso Paese.

Dipendenti dell’industria, braccianti e contadini, impiegati si sono trovati fianco a fianco nelle manifestazioni organizzate nelle grandi città per chiedere maggiori diritti, un aumento del salario minimo e forme di previdenza sociale anche per i lavoratori informali. Si chiede anche di fermare il vasto programma di privatizzazione delle banche pubbliche intrapreso dal governo nazionalista Hindu di Narendra Modi.

Il governo del Bharatiya Janata Party (Bjp) ha intensificato gli attacchi ai lavoratori, riducendo le già scarse coperture previdenziali, con l’improvviso aumento di benzina, Gpl, paraffina e altri generi di prima necessità, e prendendo provvedimenti per accelerare il suo programma di privatizzazioni in un contesto generale di peggioramento dell’inflazione e di caduta delle aspettative di ripresa economica, nonostante il “rimbalzo” dopo il duro colpo subito nei due anni di pandemia. Molti posti di lavoro sono scomparsi, e il tasso di disoccupazione a dicembre si è impennato.

Il governo Modi sostiene che la privatizzazione di alcune banche di proprietà statale potrebbe rilanciare il settore. Il piano servirebbe a raccogliere il denaro necessario per la ripresa economica.

Se lo sciopero ha avuto un impatto modesto nel centro finanziario Mumbai e nella capitale New Delhi - dove comunque decine di migliaia di lavoratori hanno marciato per le strade con le bandiere rosse dei sindacati, intonando slogan anti-governativi - altrove ha avuto invece conseguenze pesanti. Per esempio, nel sud del Kerala, dove il governo statale guidato dal Partito comunista dell’India (Cpi-ml), all’opposizione a livello centrale, ha appoggiato la protesta.

In altri Stati, i manifestanti hanno bloccato autostrade e binari ferroviari, con pesanti ripercussioni sul trasporto pubblico. I servizi essenziali relativi a trasporti ed elettricità non sono stati garantiti in diversi Stati dell’Unione indiana. Le banche del settore pubblico, incluso il più grande istituto di credito del Paese, la State Bank of India, hanno subito pesanti ripercussioni sui servizi bancari.

Il Bharatiya Mazdoor Sangh (Bms), sindacato affiliato al partito di governo Bjp, non ha aderito alla mobilitazione, definita “di matrice politica”.

Secondo i sindacati promotori dello sciopero, le politiche economiche intraprese dal governo del primo ministro Narendra Modi stanno danneggiando l’economia del Paese, che si stava riprendendo dopo aver subito un duro colpo durante i due anni della pandemia.

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