Emergenza clima: servono scelte coerenti di politica locale - di Daniela Droghetti

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Di recente media e testate giornalistiche riempiono le prime pagine con titoloni relativi all’emergenza climatica: surriscaldamento globale, sfruttamento delle materie prime, emissione di gas inquinanti. Ma la crisi non c’è da ieri, ha origini ben più lontane.

Molti ricorderanno che nel 1997, con la stesura del Protocollo di Kyoto, si era cercato di porre dei limiti alla crisi del surriscaldamento globale, imponendo delle regole di riduzione delle emissioni di elementi di inquinamento per i paesi maggiormente industrializzati. Negli anni successivi si è cercata un’alternativa più ecologica all’uso di materiali di origine fossile, una delle maggiori cause di inquinamento, impiegati per la maggior parte dalle attività industriali, impianti per la produzione di energia, impianti di riscaldamento e traffico

Secondo uno studio condotto da ‘The Conflict and Environment Observatory’, questi producono almeno il 5% dell’emissione di Co2 globale. Dato che fa riflettere anche per le oltre cinquanta guerre presenti in tutto il mondo, che oltre a produrre la morte di decine di migliaia di persone (spesso civili innocenti che subiscono la guerra), nell’immediato intossicano l’aria con polveri sottili ed agenti chimici, sostanze tossiche e radioattive, oltre ad avvelenare la flora e fauna dei fiumi e dei laghi, per citare solo alcune conseguenze. Basta ad esempio guardare la distruzione del condotto Nord Stream, una delle tragedie ecologiche più impattanti degli ultimi decenni.

Nel recente Pnrr sono stati introdotti dei termini per effettuare la ‘transizione’, ponendo al 2030 la data ultima di attuazione del cambiamento. Ma per la sua enorme complessità non sarà semplice attuare un passo così radicale nel poco tempo previsto. Sono diverse infatti le difficoltà e le contraddizioni che emergono, e su cui bisogna interrogarsi.

Ad esempio, su un noto quotidiano qualche mese fa è apparso un articolo che denunciava quello che possiamo definire il lato oscuro della produzione delle auto elettriche. Se da un lato il loro uso riduce sensibilmente l’emissione di Co2 nell’immediato, il processo di estrazione della materia prima (il litio) per produrne le batterie richiede un consumo di acqua spropositato; si producono gas velenosi che vengono liberamente dispersi nell’aria, e una volta esaurite le batterie non sono al momento smaltibili. Per non parlare del lavoro nero, quando non schiavistico, che lo circonda, e dello sfruttamento di manodopera minorile.

In questo enorme cambiamento anche noi singoli individui stiamo modificando il nostro comportamento, a favore di uno stile di vita più etico e sostenibile. Sicuramente molto si sta facendo per responsabilizzare culturalmente la popolazione che, attraverso iniziative di Comuni e Regioni, sta acquisendo un comportamento sempre più consapevole. La messa a disposizione di biciclette a noleggio, l’implementazione delle piste ciclabili, il car-sharing sono soluzioni più economiche ed ecologiche rispetto all’uso dell’auto.

Anche l’impiego di mezzi ecologici nel trasporto pubblico e la sponsorizzazione del loro uso come alternativa all’utilizzo delle auto è sicuramente una scelta green. Ma, e parlo di Milano, l’aumento dei biglietti penalizza e ne disincentiva l’utilizzo, in quanto è un’ulteriore spesa che va a gravare sulle finanze delle famiglie, già gravemente colpite dalla crisi economica che stiamo vivendo. Lo vedo quotidianamente con alcune lavoratrici degli appalti (settore che seguo) che, per recarsi tre giorni a settimana al lavoro che dista circa 8 chilometri da casa, reputano giustamente più conveniente utilizzare l’auto piuttosto che comprare ogni volta un doppio biglietto andata-ritorno pari a 4,20 euro. Sappiamo bene che nei settori come quello delle pulizie, della ristorazione collettiva, e in generale per la Filcams, la maggioranza delle lavoratrici hanno un contratto part-time.

Ancora, la raccolta differenziata, il riciclo, la vendita di prodotti di seconda mano avvicinano ad uno stile di vita più consapevole e sostenibile, sia per l’ambiente che per il portafoglio. Sicuramente siamo ancora lontani dal raggiungimento di una filiera etico-ecologica, che racchiuda in sé una serie di scelte eticamente consapevoli che tocchi tutto il processo di produzione (dalla scelta dei materiali, la loro estrazione e lavorazione, l’applicazione di contratti corretti per il tipo di lavoro e la distribuzione con mezzi a basso impatto ambientale), ma molto stiamo facendo e possiamo fare nel nostro impegno, come individui e come Confederazione. Per l’ambiente, per noi e per le generazioni future.

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