Riforma del Codice degli appalti: uno schiaffo ai diritti dei lavoratori. Regalo alla criminalità organizzata? - di Stefano Rizzi

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Il Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, numero 78, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 2023. Le norme dispiegheranno la loro efficacia dal primo luglio 2023.

La riforma pone, nei titoli, l’esigenza di accelerare procedure e cantieri in riferimento al Pnrr (ma non solo), reintroducendo una serie di meccanismi certamente peggiorativi per il sistema e per i lavoratori. Credere che siano i tempi dei controlli, e le modalità delle gare, a rallentare i lavori è una leggenda dell’economia liberista. Una visione miope, in nome del fare in fretta, quando l’obiettivo deve essere fare bene.

La riforma prevede la liberalizzazione del subappalto a cascata, che porterà nel settore pubblico quanto di peggio già accade in quello privato: la frammentazione dei cicli produttivi, incentivando il nanismo aziendale e la nascita di società “scatole vuote”. In pratica imprese senza dipendenti che prenderanno in appalto lavori pubblici, per poi subappaltare la commessa ad altre, che appalteranno nuovamente, in una catena senza fine.

Questo vale per i cantieri, ma è generalizzabile ovviamente in tanti altri settori dove l’appalto è il modello organizzativo elle aziende: vale per i servizi alla persona, per le mense, per il pulimento, la logistica, ecc.

Come sarà possibile verificare il rispetto del contratto e la sicurezza sul luogo di lavoro dove ci sono 5, 6, 7, 8 livelli di appalto? Quando si allunga la filiera aumentano anche gli infortuni, i carichi di lavoro, lo sfruttamento, le zone grigie. Lo dicono le statistiche.

Un altro elemento contenuto nel nuovo “Codice Salvini” preoccupa fortemente. Nel codice è prevista la liberalizzazione sotto soglia: per appalti fino a 5,3 milioni non sarà più necessario indire una gara d’appalto, ma gli enti potranno procedere con affidamenti diretti. Semplificando, un sindaco o un assessore potrà affidare l’esecuzione dei lavori ad aziende solo sulla base delle proprie simpatie o delle compiacenze. Nel dettaglio: fino a 150mila euro si procede con affidamento diretto, poi fino a un milione la procedura negoziata senza bando invitando cinque imprese, numero che sale a dieci per i lavori sotto la soglia Ue di 5,38 milioni. Secondo una stima del Sole24Ore su dati Anac, in queste condizioni il 98% dei lavori potrà esser assegnato senza bando, per un valore attorno ai 19 miliardi di euro.

In un Paese come il nostro, dove i fenomeni di corruzione nelle pubbliche amministrazioni, sono tra i più alti d’Europa, quali e quanti pressioni riceveranno gli amministratori? Quali e quanti saranno in grado di resistere alle particolari lusinghe? Nella migliore delle ipotesi si fermeranno a quei “cartelli” che ricordano tanto i tempi di Tangentopoli, in barba alla libera concorrenza e in nome della corruzione. La criminalità organizzata, certamente, ringrazia.

Questa riforma salviniana, fortemente criticata delle organizzazioni sindacali fin dalle manifestazioni nazionali del primo aprile scorso, preoccupa fortemente i sindacati europei, che evidentemente vedono in questa deregolamentazione un rischio di infiltrazione in altri Paesi d’Europa, tanto che la Efbww, Federazione Europea dei Sindacati delle Costruzioni, in una nota in merito all’eliminazione del limite del subappalto dichiara: “Si tratta di un preoccupante passo indietro sulla strada verso un mercato del lavoro più equo, più sicuro e con posti di lavoro diretti. La nostra lotta in Italia è anche una lotta in Europa”.

Il 7 giugno prossimo, unitariamente, i sindacati europei manifesteranno a Bruxelles “Per spezzare insieme la catena dei subappalti”.

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