Il giorno stesso nel quale le forze armate russe varcarono la frontiera dell’Ucraina, d’accordo con i miei familiari, abbiamo issato sul balcone di casa la bandiera arcobaleno. Era il 22 febbraio 2022. Era ed è rimasta l’unica, non solo nel mio caseggiato di sette piani con e quattro numeri civici d’ingresso...
Tutti i sondaggi ci dicono che la stragrande maggioranza della popolazione italiana era allora ed è oggi contraria alla guerra, soprattutto alla scelta dei governi italiani di farsi coinvolgere giorno dopo giorno nel conflitto attraverso l’invio di armi sempre più sofisticate. Eppure, giorno dopo giorno, l’Italia come gli altri paesi del blocco Usa-Nato fa un passo avanti verso il coinvolgimento diretto nel conflitto, che non è mai stato soltanto una guerra tra Russia e Ucraina, ma è sempre più una guerra aperta tra i paesi del blocco occidentale e la Russia.
La guerra ha avuto ed ha conseguenze pesanti sulla economia italiana. Non solo sull’andamento delle produzioni e dei mercati (pure se qualche settore industriale dal sangue versato trae e trarrà vantaggio!), ma anche sull’uso delle risorse stanziate per il Pnrr che sulla guerra vengono dirottate, con un impoverimento crescente di settori della popolazione.
È, quella in Ucraina, una guerra convenzionale combattuta tra eserciti regolari, se si escludono gli atti terroristici e gli omicidi compiuti in territorio russo, presumibilmente da parte ucraina, il sabotaggio del condotto del gas nel Mare del Nord opera dei servizi segreti Usa e norvegesi e, prima del conflitto aperto, dell’abbattimento di un aereo di linea da parte russa. Le vittime civili in massima parte sono conseguenza degli “errori” nel lancio dei missili o dell’abbattimento degli stessi da parte delle batterie antimissile.
Nessuno fa vedere i morti, nessuno ne dice il numero esatto. Il grosso delle vittime, morti e feriti, sono militari ucraini e russi. Le due parti parlano di centinaia di migliaia di caduti. Un numero spaventoso anche facendogli la tara. Quante vedove, quanti orfani, quante madri e padri che non vedranno più i loro figli e fratelli e sorelle che perderanno quelli con cui sono cresciuti insieme?
Il fatto che il numero dei morti non si sappia, che non se ne vedano i corpi, che le vittime civili siano oggetto di servizi di propaganda su numeri “insignificanti”, che le azioni di guerra fatte vedere in tv siano qualche colpo di mortaio o di cannone sparato a distanza da soldati inzaccherati e tante parole senza immagine alcuna, serve ad anestetizzare la percezione di un conflitto alle porte di casa.
La propaganda bellicista a reti unificate è diventata asfissiante e vomitevole. Ma qualche effetto lo ha partorito. Quella bandiera solitaria che sventola dal balcone della mia casa, nella sua solitudine, testimonia che la contrarietà non è diventata in questo anno sdegno e mobilitazione. Le forze che alla guerra si sono opposte e che si oppongono, la vasta rete dell’associazionismo laico e cattolico, la Chiesa cattolica e le sue organizzazioni, la Cgil, non riescono a tradurre la contrarietà in opposizione militante. La marcia Perugia-Assisi – benemeriti quante e quanti vi hanno partecipato - è stata questo anno una marcia “routinaria” non all’altezza della situazione.
In questo quadro, le forze politiche parlamentari, con poche eccezioni (i parlamentari di Sinistra italiana nel gruppo Verdi/Sinistra italiana, i parlamentari del Movimento 5 Stelle, qualche parlamentare del Pd e della Lega), fanno a gara a scavalcarsi sul piano del bellicismo, passando dalla timidezza di Forza Italia e Lega all’entusiasmo del Pd e dei neofascisti, sicuri che non pagheranno pegno elettorale per le loro scelte.
Siamo al punto che, nel discutere tra i sindacati europei di una possibile mobilitazione unitaria contro le politiche liberiste dei governi della Ue e della Commissione europea, si rimuove dalla discussione il tema decisivo della pace e della guerra! Quasi che non ci fossero legami tra economia e politica, tra scelte internazionali e andamento dei mercati e risorse a disposizione degli Stati.
Il movimento contro la guerra sembra muoversi per compartimenti stagni, e le numerose iniziative non si parlano e non si unificano. Invece alle guerre, se non si vogliono, non basta non aderire, occorre sabotarle con le armi della non violenza, della mobilitazione a sostegno delle politiche di pace.
Ogni giorno che passa, il conflitto in Europa orientale avvicina una deflagrazione più vasta, noi che ne siamo consapevoli dobbiamo fare di più. La Cgil deve fare di più.