L’inaccettabile presente dello sfruttamento capitalistico - di Gian Marco Martignoni

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Toni Casano, Antonio Minaldi (a cura di), Sfruttamento e dominio nel capitalismo del XXI secolo, Associazione Multimage APS, Firenze 2023, pagine 295, euro 14.

Per chi ritiene che l’anticapitalismo sia il minimo comun denominatore preliminare per la rifondazione di una sinistra non subalterna alla logica del capitale, in quanto è lo stile di vita insostenibile del 10% della popolazione mondiale che provoca il 56% delle emissioni e tutte le contraddizioni che segnano la crisi di egemonia del modello occidentale, “Sfruttamento e dominio nel capitalismo nel XXI secolo” è senz’altro uno strumento utile per mettere a fuoco la controrivoluzione neo-liberista sperimentata inizialmente nel 1973 in Cile, sulla base del progetto elaborato da Milton Friedman a Chicago.

Il libro raccoglie la serie dei seminari organizzati, con una impostazione di carattere interdisciplinare, dal centro studi Caffè filosofico B. Bonetti.

In prima istanza è stata esaminata la distinzione terminologica sussistente tra Antropocene e Capitalocene. Infatti, il primo termine proposto, ma non ideato, nel 2000 dal Nobel per la Chimica Paul J. Crutzen non coglie i caratteri relativi alla distruttività intrinseca al modo di produzione capitalistico, ed elude, mediante il concetto generico e indistinto di umanità, le responsabilità delle classi dominanti rispetto all’erosione progressiva della biodiversità e al rischio dell’estinzione di massa della nostra specie.

Successivamente, riprendendo il fondamentale studio di Shoshana Zuboff sul capitalismo della sorveglianza, sono state analizzate le modalità con cui viene esercitato il potere strumentalizzante da parte delle piattaforme informatiche su una moltitudine di utenti, ma anche le conseguenze per coloro che direttamente o indirettamente lavorano alle loro dipendenze. Da un lato, attraverso l’espropriazione dei dati, la governabilità algoritmica si prefigge la modifica dei comportamenti futuri dell’individuo consumatore. Dall’altro, come rileva acutamente l’economista Andrea Fumagalli, “la prestazione tayloristica del lavoro cede il posto alla prestazione della soggettività e dell’obiettivo del risultato”.

Pertanto, questo mutamento ha determinato sia l’allungamento “ottocentesco” della giornata lavorativa che una diffusa precarizzazione dei rapporti di lavoro, in quanto la presunta indipendenza del lavoro autonomo ha favorito un pernicioso individualismo contrattuale. Al punto che lo sfruttamento del lavoro cognitivo è il prodotto della somma del plusvalore assoluto estorto individualmente con il plusvalore relativo garantito dai colossali investimenti nella rete informatica. Inoltre, il controllo abnorme del potere digitale ha dimostrato come una certa propaganda elettorale può condizionare ed alterare le competizioni politiche in ogni ambito nazionale in senso reazionario e destrorso, con esiti decisamente illiberali ed autoritari.

Questi esiti preoccupanti per le sorti della democrazia, stante che per Gabriele Giacomini “le tendenze oligopolistiche del neo-liberismo confliggono con i principi del liberalismo classico”, devono essere decisamente contrastati attraverso l’individuazione di alcuni contropoteri, già a suo tempo meritoriamente elaborati da Stefano Rodotà, e da una robusta alfabetizzazione digitale.

Infine, le interviste ad Andrea Fumagalli e Francesco Schettino sono propedeutiche per inquadrare le dinamiche in corso a livello economico-finanziario e geo-politico sul piano internazionale, a partire dalla guerra valutaria tra il capitale legato al dollaro e il capitale asiatico, che spiega abbondantemente l’interesse degli americani a prolungare la guerra per procura in Ucraina, stante il fatale indebolimento che ne consegue, non solo economicamente, della Germania e in generale dell’Europa.

Poiché la spinta al multipolarismo marcia all’unisono con la tendenza alla de-dollarizzazione nel campo monetario, i dati economici evidenziati da Domenico Moro mostrano una progressiva decadenza degli Usa sia rispetto alla loro quota sul Pil che sulle esportazioni mondiali, con un sorpasso da parte della Cina che viene stimato come possibile nel 2030 dai più qualificati centri studi. Che dalla crisi dell’egemonia del dollaro possano scaturire nuovi scenari di guerra è l’ipotesi realisticamente più probabile, se solo si guarda retrospettivamente a quanto è avvenuto nello scenario mondiale dopo la caduta del muro di Berlino.

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