Marisa Rodano, una mimosa nel deserto - di Monica Di Sisto

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“Oggi vedo delle giovani donne sostenere la necessità di lottare contro i cambiamenti climatici, prendere la parola nelle sedi internazionali dell’Onu e cantargliele chiare. Sento che dobbiamo nutrire speranza, sento che le nostre lotte hanno lasciato un segno, sono servite a qualcosa”.

Marisa Rodano, partigiana, cristiana, ultima parlamentare in vita della prima legislatura e prima vicepresidente della Camera, tra le fondatrici dell’Unione donne italiane, in occasione del suo centesimo compleanno affidava questo suo sguardo sul futuro ai partigiani dell’Anpi. E in un’altra celebrazione di questo traguardo, organizzata via zoom da sua figlia Giulia con un gruppo di amiche nei duri giorni della pandemia, ci aveva ricordato “tutte quelle volte che nella storia si era tentato e si tenta di ricacciare indietro le donne e le loro conquiste”, e quanto a noi stesse fosse sempre affidata la responsabilità “della prima linea, della resistenza e delle nuove conquiste, sociali e politiche”, per noi stesse e per la comunità.

Questo traguardo scavalcato con agilità riflessiva, mentre il paese si attorcigliava nella paura, mi aveva dato l’impressione che Marisa l’avremmo potuta ascoltare e leggere per sempre. Ritrovarla, alla soglia dei 103 anni, a guardarci da una foto appoggiata sui legni chiari della camera ardente allestita a Montecitorio, mi ha restituito un silenzio, pur se naturale, molto pesante. In questi giorni di commiato si è ricordata la mimosa, fiore esplosivo e gratis, da strada, che Rodano ha scelto come simbolo della memoria del’8 marzo. Ma ancor prima la sua “resistenza senza armi” da cattolica comunista, e quel 1946 quando lunghe file di donne votarono per la Repubblica, dopo un lavoro capillare della ‘sua’ Udi per l’emancipazione.

Marisa Rodano ha vissuto anche l’Europa e il mondo con un passo accelerato rispetto al suo tempo: è a Bruxelles dal 1979 al 1989, mentre la Comunità economica europea (Cee) ristruttura i rapporti con le sue ex colonie di Africa, Caraibi e Pacifico (Acp) con il trattato di Lomé, che ne vincola le materie prime alla libera concorrenza nel mercato comune con gli altri fornitori del mondo globalizzato.

Rodano partecipa alla assemblea parlamentare paritetica Cee-Acp valorizzando, poi, in Parlamento, come è possibile rintracciare anche tra le pagine delle gazzette ufficiali dell’epoca, specifiche risoluzioni “sul ruolo della donna nel processo di sviluppo”, insieme ai richiami alla Commissione “sull’impegno assunto di presentare un programma di azione per le donne nel quadro delle politiche di cooperazione allo sviluppo”, e l’invito “a estendere le esperienze già attuate nel quadro della Convenzione di Lomé alle donne dei Paesi del Mediterraneo, dell’Asia e dell’America Latina” insistendo sul fatto “che si deve tener conto delle donne in tutti i progetti di sviluppo” (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOC_1988_262_R_0154_01&from=NL).

“Questa apertura, questa necessità di vedere il mondo, le relazioni internazionali, erano un punto chiave della politica e della formazione all’interno del Pci - raccontava Rodano in uno scritto per il centenario del partito, coincisi esattamente col suo 100esimo compleanno - così come il Pci mi ha insegnato l’importanza di creare momenti associativi, autonomi e vivi nella società civile. Per questo ho fondato e diretto l’Associazione di solidarietà con il popolo del deserto del Sahara occidentale, dal 1989 al 2010” (https://www.tessereilfuturo.it/index_htm_files/catalogo%20Savona.pdf).

E’ da questo particolare osservatorio, appassionato e solidale, che porterà il presidente della Repubblica Saharawi Brahim Gali, a concederle la cittadinanza onoraria “per i suoi sforzi in difesa del diritto alla libertà e all’indipendenza del popolo saharawi”, che Rodano ci ha restituito una lettura onesta, e di grande ispirazione, di “alcune questioni aperte” tra la globalizzazione e quella sinistra che non è riuscita a liberare la società “dal dominio delle grandi concentrazioni finanziarie e multinazionali” (https://www.focusonafrica.info/repubblica-saharawi-il-presidente-gali-concede-la-cittadinanza-a-marisa-rodano/). “Non si può negare - segnalava Rodano quasi dieci anni fa- che la sinistra ha delle grandi contraddizioni e non è riuscita a trovare soluzioni o ad analizzare problemi che la globalizzazione ha reso più acuti e ha presentato in modo nuovo” (https://www.donneierioggiedomani.it/marisa-rodano). “Ci vorrebbe un’Europa - aggiungeva -che invece non c’è. In un mondo in cui sono presenti grandi potenze come Usa, Russia o Cina, il fatto che l’Europa non sia una potenza politica è gravissimo”.

A sei mesi dalle elezioni europee 2024 tutte queste questioni restano aperte, e sembra non esserci nessuno interessato a discuterle. Penso che dobbiamo a Marisa, e alle ragazze e ai ragazzi che si battono per il proprio futuro nel misero contesto dato, più pensiero, più azione e anche più mobilitazione.

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