La Cop28 si piega a paesi petroliferi e multinazionali fossili - di Monica Di Sisto

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Il mondo resta tutto seduto, senza defezioni, al capezzale del pianeta malato, ma al prezzo di restare vaghi sul come lo si curerà, chi sarà obbligato a farlo, come, e soprattutto con quali soldi. Una certezza c’è: che i paesi petrolieri e le multinazionali dell’energia, anche italiane, mentre si “transita via” da questo modello preistorico di sviluppo, potranno continuare a vendere indisturbate per qualche anno ancora le riserve combustibili fossili soprattutto ai paesi meno avanzati, cui non è assegnato nemmeno un tallero di “finanza verde” per passare a processi di produzione meno inquinanti.

La Conferenza Onu per il clima, la Cop28 ospitata a Dubai nell’epicentro della conservazione, ci restituisce un processo tra le parti ancora in piedi, ma con costi politici altissimi. I paesi Opec, Arabia Saudita, Russia, Iran, ma anche gli Usa e l’Italia, negazionista fino al limite della nostra stessa sopravvivenza, non hanno obiettato a prepararsi a uscire tutti insieme, come comunità internazionale, dalle fonti fossili entro il 2030. Nessuno ha rovesciato il tavolo, in un quadro geopolitico in frantumi, ma a un prezzo politico altissimo, che, a mio giudizio, non giustifica l’enfasi con cui anche Ursula von der Leyen classifica questo risultato come epocale, seguita in coro da larga parte della comunità politica conservatrice.

Sono stati rimandati al prossimo anno tutti i negoziati sui nuovi mercati delle compensazioni delle emissioni. Sono stati eliminati dai testi finali tutti i riferimenti al fatto che per il 2025 la scienza prevede, ai ritmi attuali di produzioni inquinanti, un picco emissivo dalle conseguenze gravissime e in larga parte imprevedibile.

Come mitigare questi impatti non si è ben capito, perché il “Programma di lavoro” è vago e debole. Come valutare e prevenire il costo in diritti umani del mercato dei crediti di carbonio e delle azioni da finanziare con il nuovo fondo su “perdite e danni” resta in un limbo politico.

La cosa più risibile, al livello delle conoscenze e tecnologie attuali, l’inserimento per la prima volta nella storia delle Cop dell’energia nucleare come fonte energetica di transizione. Si favoleggia di fusione e di mini centrali a basso impatto, ma al netto delle marchette alle solite società di servizi e costruzioni e dei project financing da Instagram per ricercatori e aziende amiche, questa è solo una copertina social per permettere alle vecchissime e insicure centrali di tirare a campare ‘business as usual’: altro che Futurama. Allo stesso tempo c’è incertezza diffusa sul nuovo programma della Giusta transizione che avrebbe dovuto articolarsi verso la Cop 2024.

La conferenza del 2024, se non precipita la crisi umanitaria in Nagorno-Karabakh, si terrà a Baku, in Azerbaigian. Dalla padella alla brace: ad esempio, l’Italia è il principale partner commerciale europeo di Baku, tra i primi al mondo visto che importiamo circa il 30,1% dell’export totale azero, essenzialmente idrocarburi, tramite quei capolavori di sostenibilità dei gasdotti Scp, Tanap e il Tap, che ha sfregiato le coste pugliesi di Melendugno. A guadagnarci, tra i principali partner energetici del paese, è Eni, ma anche Snam.

In questa amena cornice, alla Cop 29 azera verrà affidata la revisione degli impegni sulle emissioni assunti con l’accordo di Parigi, mentre gli Stati membri dovranno presentarsi con i compiti fatti perché entro marzo 2025 dovranno aver aggiornato e presentato all’Onu i propri piani nazionali su emissioni, adattamento e finanza, che dovranno dare corpo e contorni a questo aleatorio “transitioning away” salutato come “grande risultato” da chi in queste settimane di negoziato ha temuto che qualcuno si alzasse in piedi e sparasse il colpo di grazia al multilateralismo. Il rischio, però, è che per salvare la baracca dove il mondo è ricoverato, il paziente crepi, con tutti noi sopra.

“È deplorevole che le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per apportare cambiamenti salutari. È quello che è successo nella crisi finanziaria del 2007-08 e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19”. Così Papa Francesco, nell’esortazione apostolica “Laudate Deum” tutta puntata a evitare che questa Cop fosse un fallimento. “Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere”. A botta calda la delusione purtroppo prevale, ma proprio per questo più forte dovrà essere la nostra capacità collettiva di rispondere e reagire per salvare il malato, e tutta la baracca.

13 dicembre 2023

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