Cile, una “vittoria” amara - di Marco Consolo

Bocciata nel referendum la “Costituzione Pinochet 2.0” voluta dalla destra. Ma resta in vigore quella della dittatura.

Lo scorso 17 dicembre per la seconda volta il popolo cileno è andato alle urne per approvare o meno una proposta di testo costituzionale, dopo anni di tentativi di trasformare la ‘Magna Carta’ ereditata dalla dittatura civile e militare di Pinochet. Il nuovo testo è stato respinto con il 55,7% dei voti e ciò significa che rimane in vigore la Costituzione di Pinochet del 1980, “migliorata” dai governi di centro-sinistra post-dittatura. C’è da sottolineare che il nuovo testo era addirittura peggiore dell’attuale, nonostante un apparente ‘maquillage’ su alcuni punti.

Come si è arrivati a questa “vittoria” che lascia la bocca amara a chi si è battuto in questi anni, pagando un alto prezzo di morti, di centinaia di persone con danni oculari irreversibili, di carcere e repressione?

Come si ricorderà, la “rivolta sociale” del 2019 non aveva tra i suoi obiettivi solo una nuova Costituzione. C’era la richiesta del salario minimo, di maggiori diritti dei lavoratori, delle donne, dei popoli originari, di istruzione e salute. Da quella “rivolta” è iniziato un lungo e tortuoso percorso costituzionale. Dopo la bocciatura nel 2022 (con il 62%) del testo redatto da una “Convenzione costituzionale” “di sinistra”, il Parlamento aveva raggiunto un accordo per un nuovo processo, tramite l’elezione di un organo ristretto, un “Consiglio costituzionale” di 51 persone.

Con la reintroduzione del voto obbligatorio, nel Consiglio il partito più votato è stato il Partito Repubblicano (35,4 %), guidato dall’ex candidato presidenziale José Antonio Kast, un nostalgico della dittatura. Insieme al 21 % dei voti delle altre destre, la schiacciante maggioranza neo-fascista e di centro-destra nel Consiglio costituzionale ha scritto una proposta che approfondiva il modello neoliberale della dittatura, una “Costituzione Pinochet 2.0”: limitava il diritto di sciopero e di organizzazione sindacale, attaccava i diritti delle donne, costituzionalizzava il sistema sanitario privato, riproponeva il sistema pensionistico privato. Un testo negazionista sul cambiamento climatico, così come sui diritti delle popolazioni originarie.

La destra ha fatto di tutto per trasformare il referendum in un voto contro il governo, con una strategia aggressiva che non ha pagato. Sul risultato ha influito la rabbia e la stanchezza di una parte di cittadini nei confronti della “politica”, dello “strabismo istituzionalista”, la difficoltà di arrivare a fine mese, della corruzione, della crescente criminalità e di una ondivaga gestione delle questioni migratorie. Rabbia e stanchezza si sono concretizzati in un voto molto volatile, di cui non è chiaro il perimetro, ma che fa la differenza.

La sconfitta della proposta costituzionale ha provocato tensioni interne all’opposizione, con l’intensificarsi della disputa egemonica tra la destra tradizionale di Chile Vamos (Udi, Rn, Evópoli) ed il Partito Repubblicano. Nonostante la sconfitta dei repubblicani di Kast, che ne indebolisce il capitale politico, tuttavia, il risultato del 44,2% a favore rappresenta un importante bagaglio di voti che permette all’estrema destra neo-fascista di rimanere in gioco.

Per quanto riguarda i due grandi blocchi delle forze di governo, ovvero Apruebo Dignidad (Partido Comunista, Frente Amplio, Acción Humanista, Federación Regionalista Verde) ed il Socialismo Democrático (Partido Socialista, Partido por la Democracia, Partido Radical, Partido Liberal) si tratta di una boccata d’ossigeno in una fase tutta in salita.

Prima della scadenza elettorale, il presidente Boric aveva invitato a diffondere le “buone notizie... che sembrano non avere rating”. “In Cile non tutto è negativo”, e lo ha esemplificato con la distruzione di 25mila armi sequestrate, il recupero di spazi pubblici alla criminalità organizzata, il successo dei Giochi Panamericani e Para-Panamericani svoltisi in Cile, l’aumento del salario minimo a 500mila pesos (circa 520 euro) e l’azzeramento dei ticket sanitari.

Ma più che a vincere, il voto è servito a non retrocedere, a difendere la debole democrazia e i diritti ottenuti dalla fine della dittatura.

Dopo il voto, i partiti al governo hanno affermato di voler ripartire dall’agenda sociale, da un programma di trasformazioni, di difesa dei diritti, di cambiamenti nell’economia, per approfondire la democrazia e fermare l’avanzata dell’estrema destra. Ma le destre, in maggioranza nel Parlamento, non hanno nessuna intenzione di fare sconti con una dura opposizione su tutti i fronti.

 

Nel frattempo, in attesa di tempi migliori, la battaglia costituzionale è sospesa.

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