Alla lotta contro il lavoro che ferisce e uccide - di Riccardo Chiari

Quando arrivano alla Stazione Leopolda per la loro assemblea nazionale, i 1.700 Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza di Cgil e Uil sanno già che poche ore prima è morto un operaio edile, e nel corso della giornata dovranno contare, e piangere, altre tre vittime del lavoro che ferisce e uccide.

Ci sono anche Pierpaolo Bombardieri e Maurizio Landini. Ma i protagonisti della Leopolda sono i delegati alla sicurezza, che danno conto di cosa sia diventata la quotidianità del lavoro nell'Italia di oggi, fra ritmi sempre più frenetici, mancanza di controlli, e un arroganza padronale che non disdegna le minacce, il mobbing per chi protesta, e le molestie ai danni delle lavoratrici. Modelli d'impresa che hanno portato a più di 14mila morti negli ultimi undici anni. A più di mezzo milione di infortuni sul lavoro ed a più di 70mila malattie professionali ogni anno.

“Adesso basta!”, tuona la platea dei Rls, messaggio inviato al mondo imprenditoriale, al governo e al Parlamento. Un messaggio amplificato dai due segretari generali di Uil e Cgil. Pronti a ricordare: “Sulla sicurezza non basta qualche provvedimento sparso, occorre un cambiamento che investa alle radici il nostro modo di produrre, il nostro sistema economico. Non bastano alcune norme, perché da anni tutto ciò che è stato fatto ha aumentato la precarietà, gli appalti e i subappalti, la frantumazione delle filiere”.

Risultato: “Il 90% delle morti avviene negli appalti, e in gran maggioranza colpisce i lavoratori precari, favorendo l’illegalità e le infiltrazioni mafiose. Proprio per questo dobbiamo dire basta alla precarietà, che è un nodo fondamentale per garantire la salute e la sicurezza sul lavoro”. E dire basta allo sfruttamento del lavoro dei migranti, i più deboli, condannati dalla legge Bossi-Fini a vivere fra lavoro nero, caporalato e sfruttamento. “Invece il lavoro deve essere dignitoso. E ti deve dare la possibilità di vivere, non di morire”.

 

 
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