In Tim si avvicina l’ora della verità - di Nicola Atalmi

In queste ore il destino della ex grande compagnia monopolistica delle telecomunicazioni, ex campione internazionale del settore, arriva a una svolta che potrebbe essere definitiva. E portare al suo definitivo declino.

Le armate arrivano a scontrarsi nella assemblea dei soci con all’orizzonte la conferma di una maggioranza che insiste nella separazione tra la rete, la cosiddetta Netco da affidare al fondo Kkr, e la rimanente ServiceCo che resterà alla “vecchia” Tim. Una manovra che serve a far cassa, e che rischia di creare due aziende più deboli e senza dimensioni adeguate per competere sul mercato, almeno quello europeo.

Non sono bastati i segnali ben chiari arrivati dal mitico mercato quando a marzo l’amministratore delegato Labriola ha presentato il piano industriale accolto con un tonfo del – 23%. Eh, si sa, il mercato per i liberisti ha sempre ragione, tranne questa volta perché il problema è, come si è giustificato appunto Labriola, che gli investitori non hanno capito fino in fondo la genialità della sua proposta. Una proposta, quella della separazione della rete, che l'ad garantisce si realizzi entro giugno di quest’anno. Pronostico al quale molti non credono.

Non sono bastate le preoccupazioni esposte dalle organizzazioni sindacali sul destino delle lavoratrici e dei lavoratori delle due aziende future. Preoccupazioni che al governo non hanno voluto ascoltare, tanto da non garantire nemmeno più i fondi per consentire una quantità di prepensionamenti che possa rendere meno duro l’impatto finale sull’occupazione.

Non sono bastate le perplessità sul rischio di mettere la società della rete in mano ad un fondo speculativo. Pronto a dire, in prospettiva, di voler rivendere questo asset che costituisce, giova ricordarlo, una infrastruttura strategica per il Paese, e che potrebbe anche finire in mani non amiche. Per giunta non sono bastati i dubbi sulla fine che farà Sparkle, sociatà che ha una rete proprietaria nei fondali marini per la trasmissione dei dati.

Eppure nessun dubbio, si va avanti. Si prosegue nel percorso come se nulla fosse, mentre la politica tace rispetto all’ennesima svendita che rischia di impoverire il nostro Paese proprio in un momento in cui, con tutta evidenza, il tema delle infrastrutture tecnologiche sta diventando sempre più il vero fattore di competitività internazionale nella transizione digitale. Quello, per intendersi, che è centrale negli investimenti del Pnrr.

Le cose non andranno bene per l’occupazione, lo rileva con chiarezza la sottoscrizione di questi giorni di un accordo per l’applicazione del contratto di solidarietà difensiva fino al 30 giugno del 2025. Un accordo che riguarderà 23mila dipendenti del gruppo e dei dipendenti delle aziende controllate Noovle, Olivetti, Sparkle e Telecontact, con una riduzione verticale dell’orario di lavoro del 13%, e del 5% per i tecnici. Un sacrificio pesante per i dipendenti. In cambio l’azienda si è impegnata, per lo stesso periodo, a non fare azioni unilaterali sull’intero perimetro occupazionale della Tim restante dallo scorporo della rete.

Le lavoratrici e i lavoratori di Tim, nelle assemblee, hanno dato mandato alle organizzazioni sindacali di sottoscrivere questo accordo, perché consapevoli della delicatezza del passaggio e di venirsi a trovare in una situazione molto complicata.

Ora la partita si giocherà fra gli azionisti. E qui la faccenda si complica. C’è un’incognita rispetto a come si comporteranno i soci francesi di Vivendi che, forti di un 23,75%, potrebbero fare la differenza, e c’è stata la sorpresa del fondo attivista Bluebell, anch’esso contrario all’accordo con il fondo Kkr e quindi alla separazione della rete, che ha proposto come amministratrice delegata Laurence Lafont, manager francese con esperienze in Google, Microsoft, Oracle, Nokia e Orange. Per finire c’è il fondo Merlyn che propone una strategia alternativa al piano Labriola-Kkr, definendolo industrialmente e finanziariamente insostenibile.

Insomma, ancora una volta sulla testa di lavoratrici, lavoratori e cittadini si gioca una partita speculativa e finanziaria internazionale, che rischia di avere conseguenze pesanti oltre che sul piano occupazionale anche sulla capacità del nostro Paese di giocare ancora un ruolo nel settore delle Tlc in Europa.

 

 
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