Da studente straniero a candidato al consiglio comunale - di Milad Jubran Basir

Un racconto dell’Italia che cambia.

Quando, nel lontano 1990, fui chiamato dalla Cgil Camera del Lavoro territoriale di Forlì per collaborare ero uno studente universitario alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli studi di Bologna. L’Italia di allora non conosceva l’immigrazione, se non quella studentesca e politica, nel senso che gli immigrati allora venivamo in Italia per studiare presso le sue università e qualcuno trovava in essa un rifugio, come i cittadini cileni dopo il golpe, oppure i cittadini dell’Etiopia. Infatti, la prima legge relativa all’immigrazione fu la 943 del 1986.

Fu la legge del 28 febbraio 1990 “Martelli”, in riferimento al suo ideatore, il ministro socialista Claudio Martelli, ad essere considerata una prima legge-quadro in merito al mondo dell’immigrazione. Di conseguenza, i tanti immigrati che erano presenti fisicamente nel territorio nazionale in modo illegale o irregolare hanno iniziato a uscire allo scoperto, perché potevano lavorare in regola come tutti i lavoratori e le lavoratici italiani, anche se allora con minore tutela.

Fui chiamato per dirigere il neonato Ufficio stranieri della Cgil territoriale di Forlì, una esperienza del tutto nuova per me, per la Cgil e per il contesto territoriale. Non nascondo le difficoltà che ho incontrato dal punto di vista personale: capire la struttura articolata del sindacato confederale e il suo funzionamento non era una cosa facile per uno studente palestinese, quando nel suo paese il sindacato non era nemmeno legale secondo la legge israeliana.

Difficoltà c’erano anche per i compagni e le compagne, sia per i nuovi utenti e potenziali iscritti lavoratori immigrati con usanze, culture, tradizione e lingue diverse, sia per il rapporto con il sottoscritto e il mio modo di operare. Comunque in poco tempo la Cgil ha iniziato a parlare arabo, assieme all’italiano e al dialetto romagnolo.

Con questo incarico ho iniziato a rapportarmi con il territorio: la Questura, la Provincia e il Comune, il terzo settore, la società civile nonché le associazioni di categoria per elaborare una politica dell’accoglienza e dell’integrazione nel nostro territorio. La Camera del Lavoro nel giro di poco tempo era diventata il punto di riferimento sia per i nuovi cittadini e lavoratori che per gli enti locali.

Andavo agli incontri con l’autorità locale e qualcuno si presentava all’incontro con il sottoscritto accompagnato dai vigili urbani con l’uniforme, che rimanevano con noi per tutta la durata della riunione. Inizialmente pensavo che la presenza delle polizie municipali fosse per dare un certo livello di formalità e prestigio all’incontro, ma dopo non molto tempo ho scoperto che non era affatto così, ma perché l’assessore aveva paura del palestinese e degli immigrati. Come eravamo messi…

Sono passati trentaquattro anni da allora e posso dire veramente con certezza che il viaggio di mille miglia inizia con il primo passo. Da allora ad oggi è passata tanta acqua sotto i ponti, da tutti i punti di vista. Oggi, e dopo questi anni, è cambiato il sindacato, è cambiata la società, è cambiata la politica, sono cambiati gli stessi migranti, e credo di potere dire che, nel nostro piccolo, abbiamo dato il nostro contributo e continuiamo a farlo per una società accogliente, inclusiva, solidale e pacifista.

Il sindacato: oggi in certe categorie i lavoratori immigrati rappresentano una percentuale molto alta degli iscritti: Flai, Filcams, Fiom e Fillea, solo a titolo di esempio. Nello stesso tempo la società e la sua composizione sociale si è modificata radicalmente, a livello locale i cittadini migranti rappresentano oltre il 14% della popolazione, in certi comuni del nostro circondario questo corpo sociale rappresenta oltre il 38% della popolazione residente, come a Galeata e nella vallata del Bidente.

È cambiata la politica: anche se in modo più timido rispetto a sindacati come la Cgil, questo cambiamento c’è anche se più lento rispetto al contesto. Infatti questa ultima tornata elettorale alle elezioni amministrative ed alle elezioni europee ha visto il coinvolgimento di diversi cittadini d’origine straniera come candidati in diverse liste di partiti e movimenti. Ad esempio, io ero candidato per il Consiglio comunale di Forlì.

Sono cambiati anche i cittadini immigrati, o almeno una parte di loro, dal punto di vista culturale perché potrebbero avere compreso e condiviso, anche se non in modo sufficiente, il nuovo sistema di valori, ma questo cambiamento è in corso come quelli precedenti, anche perché esso può procedere in funzione delle norme e delle leggi che il legislatore elabora.

Le varie fasi che il cittadino migrante deve attraversare sono legate soprattutto alla sua presenza nel territorio nazionale, che spesso è stabilità da leggi sfavorevoli al suo percorso di stabilizzazione e di integrazione nel tessuto socio-economico, sociale e culturale nel territorio.

La stabilità del migrante nel territorio influenza in modo radicale il suo percorso di integrazione: più stabile è, significa che il suo percorso e la sua predisposizione al cambiamento e all’integrazione sarà facilitato e favorito. Al contrario, più si rende il migrante instabile meno si crea quel legame di appartenenza alla comunità e al territorio.

Questi cambiamenti ci sono, anche se sono diversificati tra di loro dal punto di vista del coinvolgimento, dell’intensità, del tempo. E se trent’anni fa gli incontri con noi migranti venivano svolti con la presenza della polizia municipale, oggi noi stessi siamo candidatati e in certi casi eletti nei Consigli comunali e in varie istituzioni democratiche del paese.

Ma questi cambiamenti sono sufficienti? Secondo la mia lunga esperienza posso affermare che questi cambiamenti sono molto positivi, ma non sono sufficienti visto il contesto italiano dal punto di vista occupazionale, lavorativo e pensionistico. A livello locale il fabbisogno di manodopera di lavoratori migranti nella nostra provincia di Forlì-Cesena è pari a 16mila unità, secondo i dati della Camera di Commercio. Da aggiungere inoltre il contributo fondamentale che i lavoratori migranti offrono tutti gli anni alle casse dell’Inps.

Occorre introdurre nuove leggi che diano un percorso trasparente di ingresso nel territorio nazionale e stabilità a questo corpo sociale, per favorire il percorso di integrazione nel contesto. Occorre pensare al livello di rappresentanza di questi lavoratori all’interno del sindacato o almeno in certe categorie. Occorre che la politica investa di più non solo in occasione delle elezioni, ma pensi al coinvolgimento dal basso, iscrivendo i migranti ai partiti e ai movimenti e facendo fare loro un percorso di crescita e di appartenenza dentro gli stessi partiti. Occorre anche che la stessa società civile faccia uno sforzo maggiore per comprendere le diversità culturali e linguistiche dei migranti, e che questa diversità non rappresenta una minaccia ma un arricchimento.

Infine gli stessi migranti devono anche loro intraprendere il percorso dell’integrazione, non solo nel contesto lavorativo dentro la fabbrica e il luogo di lavoro, come vorrebbe qualcuno, ma anche nella società, nel sindacato, nei partiti, perché devono essere soggetti attivi e devono sentirsi appartenenti a questa comunità di cui sono parte integrante.

Deve far riflettere tutti quanti noi l’assassinio - perché di fatto è stato assassinato - del bracciante agricolo indiano Satnam Singh qualche giorno fa, così come gli infortuni quotidiani sul lavoro, che oramai assomigliano a una guerra non dichiarata che vede ogni giorno l’assassinio di lavoratrici e lavoratori, così come il genocidio quotidiano di profughi e rifugiati che perdono la vita nel deserto o nel mare “nostrum”. Dobbiamo decidere quale Italia intendiamo ricostruire.

Sono profondamente convinto che se riusciamo a far vivere la nostra bellissima Costituzione in ogni luogo, a partire dalla scuola, dentro la fabbrica e nel contesto sociale, partendo dal primo articolo che recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, così facendo avremo un paese accogliente, inclusivo, solidale e pacifista. È l’Italia per la quale ho lottato per trentacinque anni, l’Italia che vorrei per me e per i miei figli e le mie figlie.

 


La redazione di Sinistra Sindacale, le compagne e i compagni di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale esprimono la loro più forte solidarietà a Milad per le vili e vergognose diffamazioni razziste, discriminatorie, islamofobe comparse su alcuni siti social nei giorni scorsi.

 

 
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