Vergani Cremona, la fabbrica del Natale - di Frida Nacinovich

Cremona è la città dei liutai, già a partire da Stradivari, Guarneri del Gesù e Amati, ha visto nascere compositori come Monteverdi e Ponchielli, è stata città d’adozione di Mina, che negli scoppiettanti anni sessanta era soprannominata la tigre di Cremona. Ma è anche la città del torrone, perché secondo la leggenda che lega questo magnifico dolciume alla città sembra che sia nato addirittura nel 1491, prima della scoperta delle Americhe, in occasione della festa di matrimonio dei duchi di Milano, Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Il nome ‘torrone’ deriverebbe infatti dal Torrazzo, la grande torre campanaria del Duomo, simbolo del capoluogo lombardo. A dire il vero la ricetta originaria è un’invenzione araba, ma poco importa alle tante famiglie che ne fanno incetta, soprattutto nel corso delle feste di fine anno per la gioia del palato di grandi e piccini.

‘Si dice torrone, si legge Vergani’, sta scritto nella pagina di presentazione della storica azienda cremonese che da più di un secolo produce dolciumi prelibatissimi, venduti in Italia ed anche all’estero. Qui Marco Bosio lavora da dodici anni, e racconta volentieri la dolce storia di un lavoro particolare, tra miele, cioccolato, mandorle, nocciole e canditi. “Da qualche decennio siamo diventati una grande industria, ma c’era un tempo in cui il torrone si faceva nei pentoloni di rame, si tirava fuori con le spatole, a mano. Adesso è quasi tutto automatizzato, ci sono questi grossi contenitori, si chiamano sedi, dove cuoce lo sciroppo, che poi viene mescolato in altri recipienti con pezzetti di frutta, mandorle, nocciole. Dopo, tutto quanto scende in una moggia ed entra in due grandi rulli con anidride carbonica per raffreddarlo, infine il torrone viene appiattito e si taglia, in varie misure, a seconda della richiesta”.

Bosio prepara torroni ma fa anche il magazziniere, lo stabilimento Vergani di Cremona è imponente, chi percorre l’autostrada Piacenza-Brescia non può non notarlo. “Ultimamente ci stiamo specializzando sul cioccolato - sottolinea - ne stiamo producendo molto, quasi più che di torrone. C’è un nuovo reparto, nato cinque anni fa, dove facciamo cioccolatini, soprattutto cuneesi, ci stiamo adeguando alle richieste di un mercato che inevitabilmente detta le regole”.

Vergani ha 45 dipendenti fissi, ma per quattro, cinque mesi l’anno vengono chiamati in azienda settanta, ottanta lavoratori stagionali, così nel complesso gli addetti quasi triplicano. “Noi sindacalisti - avverte subito Bosio, tessera Flai Cgil in tasca - cerchiamo ogni stagione di far assumere qualche persona. Quest’anno, ad esempio, grazie alle opportunità offerte dalla produzione di cioccolato, hanno ottenuto il contratto a tempo indeterminato cinque nuovi ragazzi”. L’azienda è una realtà in crescita. “Lavoriamo molto con l’estero, soprattutto con i paesi del nord Europa. Avevamo anche un grosso cliente in Russia, che purtroppo a causa della guerra ha diminuito significativamente gli ordinativi. Abbiamo attraversato gli anni della pandemia senza mai smettere di lavorare, sfortunatamente in quel periodo non venivano chiamati gli stagionali. È stato un problema, molti di questi lavoratori e lavoratrici sono con noi da tempo, e sperano di essere assunti definitivamente anche grazie all’esperienza e alle competenze che hanno acquisito”.

Nel paradiso dei golosi si corre addirittura il rischio di farsi venire a noia le leccornie prodotte quotidianamente. Bosio ci scherza su: “Dopo dodici anni capita ancora di sgranocchiare una mandorla o una nocciola appena tostata. A dirla tutta, il torrone mi piace sempre tanto, il cioccolato stucca un po’ di più. Il nostro non è un lavoro faticoso, siamo molto automatizzati. Casomai è un po’ ripetitivo. L’insacchettamento, ad esempio, richiede pazienza e manualità. In questo campo le donne sono molto più brave dei loro colleghi uomini, che fanno più lavoro di magazzino, guidando muletti, spostando pancali, preparando le spedizioni”.

 

Alla Vergani c’è un unico sindacato, la Flai Cgil. “Un bel risultato - osserva Bosio - Anche perché non è facile entrare in sintonia e coinvolgere le nuove generazioni, che sono spesso digiune sul piano dei diritti e delle tutele sindacali. Vedono le loro pensioni molto, molto lontane nel tempo, e si sentono come traditi dalla politica”. Marco Bosio è un lavoratore precoce, ha iniziato subito dopo la fine di quelle che una volta si chiamavano scuole medie. “Avevo 14 anni, già mentre andavo a scuola aiutavo mio padre a fare l’imbianchino. Se tutto va bene - calcola con un po’ di giustificato orgoglio - fra due, tre anni potrei andare in pensione”. La fabbrica delle feste non è come quella del cioccolato di Willy Wonka, ma rimane un posto dove tutte e tutti una volta o l’altra vorrebbero scoprire di persona, assaporandone gli aromi, come si producono dolci così buoni.

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