Il processo del secolo. Israele è sul banco degli imputati - di Milad Jubran Basir

Il processo che si celebra nell’aula del Tribunale Internazionale di Giustizia all’Aia è stato battezzato da noi palestinesi e da tutti gli uomini e le donne liberi e dalle future generazioni come il processo del secolo. Sarà così, senza alcun dubbio, aldilà del verdetto dei quindici giudici che formano la giuria di questo prestigioso e importante tribunale internazionale.

Questo tribunale fu fondato nel 1945 a New York per giudicare in merito ai conflitti tra gli Stati, si compone di quindici giudici che vengono eletti dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, rimanendo in carica per nove anni.

Lo Stato di Israele è tra i tanti Stati che hanno aderito quasi subito a questa istituzione internazionale, perché uno degli effetti auspicati con la sua fondazione era proprio di prevenire altri genocidi, come quello subito dagli ebrei nell’Olocausto in Europa durante la seconda guerra mondiale.

Oggi lo Stato di Israele si trova sul banco degli imputati per discriminazione razziale, apartheid e genocidio in relazione alla sua politica e alle azioni militari nei confronti del popolo palestinese, in modo particolare a Gaza. Lo Stato che storicamente, fin dalla sua nascita, ha cercato di catturare e di giudicare tutti coloro che erano responsabili direttamente e indirettamente delle leggi razziali in Europa e delle loro conseguenze, e di portarli nell’aula del Tribunale Penale Internazionale. Oggi questo Stato si trova esso stesso a difendersi dall’accusa di genocidio, discriminazione e apartheid.

Anche l’accusatore non è un paese qualunque, ma uno Stato che ha avuto una storia di colonialismo e di apartheid, sofferenze e lotte per decine e decine di anni per liberarsi dalla discriminazione, dall’apartheid e dal colonialismo occidentale. È il paese di Nelson Mandela. Questo grande personaggio e leader mondiale è diventato il presidente del Sudafrica dopo ventisette anni di vita in carcere, incarnando nella sua storia personale e politica la lotta dei movimenti di liberazione su scala internazionale, tra cui anche l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp).

A noi palestinesi è cara la frase, pronunciata dal presidente sudafricano Nelson Mandela all’indirizzo del presidente palestinese Yasser Arafat: “La nostra libertà è incompleta senza la libertà del popolo palestinese”. Come riconoscimento e gratitudine, l’Autorità Nazionale Palestinese il 25 aprile 2016 ha inaugurato una gigantesca statua del leader sudafricano fatta di bronzo, donata dalla municipalità di Johannesburg alla presenza del presidente Abu Mazen e del sindaco di Johannesburg, nonché del capo delegazione del Sudafrica in Palestina.

Chi ha assistito in diretta televisiva all’avvio del processo dell’Aja ha notato e osservato la convinzione, la documentazione e l’oggettività con le quali gli avvocati sudafricani hanno presentato i loro capi d’accusa, mostrando foto, video e reportage contro Israele, ricordando alla Corte i tanti anni di occupazione militare, chiedendo ai giudici di riconoscere il contesto storico dell’attuale conflitto. In base alla documentazione presentata il Sudafrica chiede alla Corte Internazionale di Giustizia di intervenire e subito per evitare e prevenire altri crimini, chiedendo il cessate il fuoco in modo urgente per permettere e facilitare l’invio degli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza.

Dall’altra parte si è vista la disperazione e l’irrazionalità con i quali gli avvocati di Israele hanno tentato di difendersi da queste pesanti accuse.

Nessuno di noi sa, allo stato attuale e quando scriviamo, il 23 gennaio, come sarà il verdetto dei giudici. Possiamo immaginare le pressioni politiche e diplomatiche che subiranno, ma vogliamo sperare nell’imparzialità e nella neutralità di queste quindici persone, perché il loro verdetto può modificare il percorso della storia non solo nel Medio Oriente e per noi palestinesi, ma per l’intera comunità internazionale.

Noi palestinesi non cerchiamo vendetta ma giustizia, quella vera, concreta, perché i tanti bambini uccisi senza alcuna colpa hanno il diritto di avere giustizia. Questa Corte rappresenta la comunità internazionale, quindi un suo pronunciamento positivo a favore del popolo palestinese esprime il riconoscimento del mondo intero, perché finalmente può dare giustizia a questo popolo che lotta da oltre settantacinque anni per la sua libertà, per la giustizia e per la pace.

Un verdetto che renda giustizia al popolo palestinese ha una sua importanza etica, storica e politica, perché rappresenta la pietra angolare per la nascita del nostro Stato in base alla legalità e al diritto internazionali.

 

Aldilà del tipo del verdetto del tribunale, questo processo è già il processo del secolo.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search