L’Umbria in piazza per la sanità pubblica - di Mauro Moriconi

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La vertenza sanità in Umbria è al centro dell’attività sindacale nella nostra regione ormai da tempo. Il depotenziamento del sistema sanitario pubblico, che avevamo paventato come rischio molto probabile all’inizio della legislatura (anche dalle pagine di questo periodico), oggi è una realtà sotto gli occhi di tutti. Dopo innumerevoli e inconcludenti incontri con la giunta regionale la vertenza è sfociata in un primo appuntamento di mobilitazione il 22 ottobre scorso, con una grande manifestazione regionale a Perugia promossa da Cgil e Uil dal titolo che non lascia spazio ad equivoci: “Vogliamo la sanità pubblica”.

La strategia della Regione fin qui è stata quella di fare finta di ascoltare, di assumere anche impegni formali, salvo poi disattenderli e procedere per la propria strada. È successo così con il piano sanitario regionale (adottato di fatto senza una reale partecipazione con forze sociali e cittadini) e con le oltre 1.100 assunzioni di personale promesse, di cui ne sono state realizzate neanche un decimo. Ma è successo ancora con il piano di efficientamento e riqualificazione del Sistema sanitario regionale 2022-2024, adottato il 5 ottobre scorso, con cui si compie un altro passo verso lo smantellamento della sanità pubblica regionale.

L’Umbria è una regione piccola, poco più di 800mila abitanti con una bassa densità abitativa e con un sistema del trasporto pubblico locale del tutto insufficiente (e oggetto tra l’altro in questi giorni di ulteriori riorganizzazioni, cioè tagli, che penalizzeranno ancora i territori più deboli e marginali). A maggior ragione necessita di un Sistema sanitario pubblico che sia in grado di integrare la rete ospedaliera con i servizi di territorio che dovrebbero essere capillari e diffusi per poter offrire a tutta la popolazione (sopratutto la più fragile a partire dagli anziani) la possibilità di accedere alle cure migliori.

La strada intrapresa è invece quella dello svuotamento delle capacità dei servizi sanitari, sia territoriali che ospedalieri. Lo schema è semplice: non si fanno le assunzioni, i servizi vanno in difficoltà, si sposta personale in altre sedi e la struttura chiude. Il tema della carenza di personale è centrale ed è una della cause principali dell’allungamento delle liste di attesa, della difficoltà di organizzare servizi territoriali/domiciliari decenti, e di conseguenza dell’affollamento delle strutture ospedaliere e dei pronto soccorso.

Per queste ragioni abbiamo ripreso finalmente la mobilitazione riportando in piazza lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati. Una manifestazione, conclusa dalla segretaria nazionale della Cgil Daniela Barbaresi, di quelle che da tempo non si vedevano in Umbria, positiva non solo per le migliaia di persone (al netto della solita guerra dei numeri con la questura) che vi hanno partecipato o dalla qualità degli interventi dal palco di sindacalisti, Rsu (sia del “pubblico” che del “privato”), ma anche per la partecipazione della cosiddetta società civile che finalmente inizia a prendere coscienza dello stato in cui versa la sanità regionale e si mobilita anche con la costituzione di comitati locali a difesa di ciò che è in procinto di essere smantellato. Insomma si comincia a comprendere che in una realtà come quella umbra o c’è un Servizio sanitario pubblico efficiente e vicino al cittadino, oppure per curarsi bisogna non solo mettere mano al portafoglio ma anche spostarsi in altre regioni.

Deve essere chiaro che la manifestazione del 22 ottobre non è che l’inizio di un percorso di lotta, perché quello della sanità non è che il paradigma della crisi più complessiva: dalla questione già accennata dei trasporti, al piano dei rifiuti (dove hanno proposto un nuovo inceneritore), ai temi dello sviluppo economico. Una giunta regionale senza una visione strategica rischia di precipitare la regione in un declino rovinoso in tempi molto rapidi.

Ed è per questo che la mobilitazione dovrà continuare se sarà necessario fino allo sciopero generale: questo è l’impegno che abbiamo preso di fronte alla piazza del 22 ottobre, perché è dalle vertenze territoriali che deve partire il messaggio forte che il diritto alla salute delle persone in ogni fase della propria vita lo si garantisce solo con un Servizio socio-sanitario nazionale davvero pubblico e universale.

 

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