General Electric Healthcare, lavoratori itineranti - di Frida Nacinovich

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Fa quasi impressione entrare nel mondo di General Electric, una delle multinazionali più famose del pianeta, fondata nel 1892 e già fiorente all'inizio del secolo scorso. Oggi GE è leader tecnologico e manifatturiero grazie alle sue otto controllate che si occupano di una infinità di cose, dall'automazione all'elettricità, dalla diagnostica per immagini all'intrattenimento, e ancora di locomotive, motori aeronautici ed elettrici, hardware e software sanitario, turbine a gas, turbine eoliche, tecnologia militare e armamenti, fino ai reattori nucleari.

Fra i suoi 300mila addetti ce ne sono anche circa 6mila in Italia, dove la multinazionale sbarcò nel 1921, e dove ci sono quattro società riconducibili alla casa madre. Fra queste GE Healthcare, attiva nel settore biomedicale, in altre parole nelle tecnologie medicali, nei farmaci diagnostici e nei sistemi digitali per la sanità. Tanto per capire, commercializza apparecchiature come Tac, Pet, risonanza magnetica, mammografi digitali e gli ecografi, oltre a fornire i liquidi di contrasto per il loro utilizzo.

Fra i suoi oltre 500 dipendenti (46mila nel mondo) c'è Raffaele Mazzotta, tecnico che con il suo lavoro supporta i medici e gli altri professionisti delle aziende sanitarie, sia pubbliche che private. “Sono entrato in General Electric nel 1989 – ricorda – prima per due anni avevo lavorato per 3M, occupandomi di apparecchiature per lo sviluppo delle pellicole radiologiche”.

Si definisce un “lavoratore itinerante” Mazzotta, perché la sua attività lo porta per forza di cose a viaggiare, per dare assistenza a chi la richiede: “Quando mi hanno assunto, GE aveva uno stabilimento a Monza, mentre ora ha solo gli uffici a Milano. Non c’è una sede dove vado tutti i giorni. Oggi ero ad Aosta, ieri a Torino, il giorno prima a Cuneo”. Ogni regione ha i suoi tecnici pronti a riparare la vasta gamma di apparecchiature vendute dalla multinazionale. “In tutta Italia siamo circa 220 tecnici. Poi ci sono i venditori, che devono proporre e spiegare il funzionamento dei macchinari prima che siano acquistati tramite gara dall'azienda sanitaria, oppure da strutture private”.

La giornata di Mazzotta inizia presto, intorno alle 8, lo aspettano negli ospedali del Piemonte, della Valle D’Aosta, della Liguria. “Passiamo moltissimo tempo in macchina - racconta - percorro sui 45mila chilometri l’anno ma c’è anche chi arriva a 70mila. Le auto fanno parte dei benefit, ci vengono fornite e ogni quattro o cinque anni le dobbiamo cambiare”. Mazzotta spiega che l’aspetto più rischioso del lavoro è proprio la guida. “Io parto da Torino, e può capitare di alzarsi e dover andare a Domodossola”. Sono tecnici specializzati, conoscono alla perfezione i macchinari a cui fanno assistenza, e lavorano dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 17. “Con gli anni e l'esperienza impari a gestire gli spostamenti, in modo da tornare a casa nel pomeriggio. Però da giovane mi capitava anche di lavorare fino a mezzanotte”.

Eletto nella Rsu per la Fiom Cgil, è responsabile della sicurezza. Quindi conosce bene le trattative sul secondo livello di contrattazione: “Sono quelle legate alla gestione della reperibilità, a limitare i chilometri negli orari notturni, a stare attenti che, quando facciamo un intervento nella struttura, ci sia qualcuno che sappia della nostra presenza, pronto ad agire in caso di bisogno di aiuto”.

Mazzotta ha 58 anni, e racconta di come l’evoluzione della tecnologia si sia fatta sentire, positivamente. “Possiamo fare una diagnosi da remoto, e arrivare sul posto già con il pezzo di ricambio giusto, ordinato in uno dei magazzini che abbiamo in Europa. La nostra presenza è comunque essenziale, perché le apparecchiature non si riparano da sole. E dopo vanno collaudate”. A preoccuparlo sono le gare al ribasso, con tutto quello che ne consegue per la qualità dell'assistenza: “La sanità privata sta letteralmente esplodendo, gli stessi medici vanno e vengono, e questo non è ammissibile. Io sono per la sanità pubblica, se credi che un ospedale debba far profitto hai sbagliato in partenza. Deve essere un servizio per il cittadino, non un budget da raggiungere”.

Senza una sede stabile non è facile fare sindacato: “Comunque cerchiamo di dialogare con i colleghi più giovani, spesso con contratti a termine, spaventati dall’idea di uno sciopero. Per fortuna in una realtà come la nostra, dove si investe molto in formazione, anche all’estero, è più facile stabilizzare i precari”. Restano le peculiarità di un mestiere non certo facile, sia tecnicamente che sul piano umano: “C’è anche un lato psicologico in questo lavoro. Quando devi intervenire in reparti che si occupano di tumori, devi imparare a non essere sopraffatto dal dolore che vedi intorno a te. Anche durante la pandemia, e in quei mesi davvero non ci siamo mai fermati, la maggior parte delle apparecchiature che seguivamo erano per la diagnosi del Covid. Qui al nord la prima ondata è stata terribile, sembrava di essere in un film di guerra, con tanto di continui posti di blocco. Una situazione surreale”.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search