Grecia: a Nuova Democrazia la maggioranza dei seggi. Verso una nuova leadership per Syriza - di Franco Ferrari

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Chiamati nuovamente al voto per la seconda volta a distanza di un mese, gli elettori greci hanno confermato e per certi versi rafforzato la svolta a destra che si era registrata il 21 maggio scorso.

Il partito conservatore, Nuova Democrazia, ha confermato la propria percentuale, di poco superiore al 40%, ma grazie al ritorno ad una legge che premia la formazione che ottiene la maggioranza relativa, ha potuto incassare 158 seggi che gli garantiscono una comoda maggioranza assoluta.

Sventato il rischio che ottenesse i 180 seggi grazie ai quali avrebbe potuto modificare direttamente la Costituzione, resta però intatto il rischio di un accentuarsi di quegli elementi di autoritarismo di cui ha dato prova nei precedenti quattro anni di governo.

Nel nuovo Parlamento sono però anche presenti ben tre partiti che si collocano alla destra di Nuova Democrazia: gli ultranazionalisti di Soluzione Greca, gli ultraclericali di Vittoria e gli Spartani, neonazisti rinati a seguito della messa fuori legge di Alba Dorata.

Non ci sono dubbi sul fatto che il nuovo governo proseguirà con le politiche di privatizzazione della sanità e dell’istruzione, di indebolimento dei diritti dei lavoratori e di respingimento aggressivo dei migranti. Politiche che vanno di pari passo con un controllo sempre più stretto dell’informazione e con la messa in campo di pratiche repressive nei confronti di ogni forma di opposizione politica e sociale.

Tutto ciò con il pieno sostegno di Bruxelles che ha favorito, dal 2019, il consolidarsi al governo di una formazione di destra allineata con le politiche neoliberiste.

La sinistra nel suo complesso esce ulteriormente indebolita, soprattutto per l’aggravarsi della sconfitta di Syriza che ha perso altri due punti percentuali, scendendo sotto il 18%. Considerato che la partecipazione al voto è calata di otto punti (dal 60% al 52%) risulta evidente che il partito di Tsipras ha perso consensi verso l’astensione piuttosto che cedendoli ad altre forze politiche. Sia il Pasok (socialdemocratici orientati verso il centro) che il Kke (comunisti) avevano già recuperato parte dei voti che avevano ceduto a Syriza nel 2015 e nel 2019, ma non sembrano per ora in grado di offrirsi come cardine per un progetto di alternativa alla destra.

L’impatto della nuova sconfitta ha portato alla decisione di Aleksis Tsipras di annunciare le proprie dimissioni dalla guida del partito. Ora Syriza dovrà procedere all’elezione di un (o una) nuovo leader. Sulla stampa circolano i nomi di Efi Achtsioglou, che fu apprezzata ministra del lavoro nel governo guidato da Tsipras, e Alexis Charitsis, che nello stesso governo era vice ministro dell’economia. Volti relativamente nuovi, che potrebbero portare anche un importante patrimonio di competenza e di esperienza nella costruzione di un’alternativa programmatica e politica alla destra.

Il bilancio del leader uscente è soggetto a valutazioni contrastanti. Mentre all’interno del partito non possono non riconoscere che ha portato una formazione politica che in Grecia aveva un ruolo marginale alla vittoria elettorale e al governo in un contesto particolarmente difficile, dall’esterno, soprattutto coloro che hanno rotto con Syriza e dato vita a formazioni politiche rivali, lo ritengono responsabile di un vero e proprio “tradimento”.

Un giudizio liquidatorio che evita di confrontarsi con i nodi e le contraddizioni reali di ogni formazione politica che tenti di unire la conquista di un consenso di massa con la traduzione concreta, da posizioni di governo, di una politica di contestazione al neoliberismo e all’austerità.

Syriza dovrà anche ridefinire i contorni di un progetto politico, di un’identità e di una strategia che tengano conto del profondo mutamento di situazione avvenuto rispetto agli anni della “grande recessione”. La narrazione semplificata, ma in qualche misura efficace, del popolo contro le élite, che avuto successo in diversi paesi nel decennio scorso, oggi non è più sufficiente. La destra è in grado di costruire un ampio consenso unendo settori sociali diversi, seppure con una evidente e prioritaria difesa del grande capitale.

La costruzione di un blocco sociale alternativo è operazione complessa ma indispensabile, che deve intrecciare una narrazione ideologica comprensibile e mobilitante, la difesa delle condizioni materiali dentro un’idea alternativa di sviluppo, l’assunzione di nuovi diritti e valori di libertà non irrigiditi in nicchie identitarie.

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