Garofalo, che pasta di donne - di Frida Nacinovich

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Se è facile dire che la pasta più buona del mondo è quella italiana, ben più difficile dare l’alloro della vittoria fra i marchi di casa nostra, vista l’inevitabile concorrenza fra aziende vecchie anche più di due secoli. Per certo i responsabili comunicazione e marketing della Garofalo non sono secondi a nessuno: per i loro messaggi pubblicitari hanno scelto come testimonial l’inossidabile Elio con le sue Storie Tese, una garanzia di successo, prova ne è che in un ambito tutto diverso come quello degli istituti di credito l’irresistibile spot del Conto Arancio è ormai canticchiato dai bancari di ogni latitudine, dal nord al sud della penisola. Come se non bastasse ad assaggiare le prelibatezze marchiate Garofalo c’è anche il commissario per eccellenza, Salvo Montalbano, insieme alla moglie Luisa Ranieri. Che spettacolo di pasta.

Garofalo nasce nel 1789, l’anno della Rivoluzione francese, a Gragnano. Proprio lì, nel napoletano, Michele Garofalo, con Regio Decreto, ottenne la concessione esclusiva per la produzione della pasta, ritenuta dalle autorità dell’epoca ‘di buona fattura’. Tanta acqua è passata sotto i ponti, oggi Garofalo esporta i suoi prodotti in oltre ottanta paesi di tutto il mondo. Anche l’entrata nel 2014 di Ebro Foods, multinazionale spagnola del settore diventata socia di maggioranza dell’azienda con un cospicuo investimento, non ha intaccato la qualità dei prodotti.

Alessandra Esposito lavora come operaia al Pastificio Garofalo di Gragnano, ed è stata eletta nella rappresentanza sindacale unitaria per la Flai Cgil. “Ho quasi 34 anni e sono entrata in fabbrica quando ne avevo 20 - racconta - sono fiera del percorso che ho fatto. Ho lavorato in quattro aziende diverse, sempre come operaia e sempre in un contesto prettamente maschile”. C’è da crederle, visto che anche l’ultimo rapporto Istat denuncia che l’Italia non è un paese per giovani e donne, costantemente penalizzati/e nel cosiddetto ‘mercato del lavoro’.

Ma torniamo ad Alessandra Esposito, che è fiera non solo del suo lavoro ma anche del ruolo di delegata sindacale. “Lavorare in queste realtà mi ha formata tanto, sia professionalmente che caratterialmente. Ho dovuto imparare a farmi ascoltare, a farmi considerare. E questo non è affatto semplice quando sei una donna in un turno di soli uomini. Ad un certo punto ho dovuto fare una scelta: essere una semplice operaia succube di questo sistema molto maschilista, oppure cacciare fuori gli artigli e farmi rispettare. Con il tempo scegliere la seconda opzione mi ha portato ad entrare nel mondo del sindacato, cosa che se potessi tornare indietro rifarei altre mille volte. Fare la sindacalista è un grande impegno ma dà anche tante soddisfazioni”.

Esposito ci tiene a sottolineare di non aver mai voluto essere “soltanto un numero” nelle aziende in cui ha lavorato. “Ho scelto di contribuire a migliorare quelle che sono le condizioni di lavoro e dei lavoratori”. Oggi è più che mai impegnata a far capire alla direzione aziendale che bisogna ancora fare dei passi avanti per quanto riguarda la condizione delle donne e della genitorialità sul luogo di lavoro. “Questo è un argomento che mi sta particolarmente a cuore da sempre - riflette - ora ancor di più perché sono diventata mamma, e tre anni fa ho anche deciso di frequentare un corso di laurea. Sulla mia pelle mi sono resa conto di quanto sia difficile per una donna, madre lavoratrice e anche studentessa riuscire a conciliare tempi di lavoro e di vita. La Cgil si è impegnata e si impegna ancora ad assumere la questione di genere come una priorità, con l’obiettivo proprio di migliorare la condizione femminile, anche utilizzando sul territorio le risorse della programmazione europea e del Pnrr”.

E' davvero uno stereotipo, nel ventunesimo secolo, pensare e dire che la cura della famiglia sia un problema esclusivamente delle donne. “Nel mondo del lavoro le disuguaglianze fra uomo e donna in materia di occupazione, carriera, trattamento economico e previdenziale sono sempre presenti, mentre risultano indeboliti e privi di risorse necessarie gli organismi istituiti per prevenire e contrastare discriminazioni, molestie e violenze che aumentano sempre di più”.

Alessandra Esposito non si considera una pasionaria: “Riuscire a giostrarci tra lavoro, figli, mariti, a volte anche genitori, economia domestica e cura della casa, richiede dei superpoteri che la maggior parte di noi ormai ha dimostrato di poter tirare fuori all’occorrenza”. Ma quanto è difficile convincere le imprese, che sembrano rimaste agli inizi del novecento giudicando le donne per forza di cose meno attaccate al lavoro. “Sogno di conquistare il diritto per le donne di poter fare le mamme senza la sensazione perenne di essere considerate un peso per l’azienda”. Perché loro sono indispensabili come gli uomini. Indispensabili come un piatto di pasta Garofalo.

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