Emergenza sbarchi o emergenza elettorale? - di Leopoldo Tartaglia

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Dunque il governo Meloni getta la maschera e rilancia politiche ferocemente repressive, dopo alcuni mesi in cui sembrava aver “accettato” con maggior pragmatismo la realtà di fatto dell’arrivo autonomo di profughi e migranti sulle nostre coste. Dopo il feroce decreto Cutro infatti, al di là della propaganda e della facile, quanto fallace, continuazione delle politiche di esternalizzazione delle frontiere e di ostacolo ai soccorsi delle navi Ong, il governo sembrava voler dimostrare una maggiore attenzione alla ricerca di accordi in sede europea e alle politiche di ingresso regolare. Basti ricordare la programmazione di oltre 450mila ingressi tramite “decreto flussi” nei prossimi tre anni: la metà delle richieste del mondo produttivo ma ben più alte dei flussi programmati nell’ultimo decennio (30.850 erano gli ingressi previsti dal decreto flussi di Salvini ministro dell’Interno).

Non è difficile vedere che, dietro la decisione di Meloni di respingere e reprimere sempre più profughi e migranti, più dell’emergenza sbarchi conti l’emergenza elezioni europee. Il suo principale alleato-concorrente, Matteo Salvini, ha da tempo avviato la campagna elettorale della Lega rispolverando il tema della lotta alla immigrazione “clandestina”. Facendo chiaramente capire che Meloni non è conseguente – per incapacità o non volontà – alle promesse elettorali e al programma del centrodestra.

Certo, la situazione degli arrivi, soprattutto via mare, è drammatica e in aumento esponenziale rispetto agli ultimi anni. Quanto sta avvenendo a Lampedusa, però, dimostra l’impossibilità di fermare l’immigrazione a monte – come continuano a sostenere Meloni, Salvini e Piantedosi, sapendo di mentire. Ed è la conseguenza di scelte precise del governo che, smantellando il sistema di accoglienza, ostacolando il soccorso in mare da parte delle Ong, evitando di programmare il soccorso istituzionale della guardia costiera – che pure dopo Cutro sta salvando migliaia di naufraghi – ha voluto scientemente creare una situazione insostenibile a Lampedusa come “forma di pressione” verso l’Ue e riproposizione di una falsa emergenza.

Nel 2016 sono sbarcati in Italia oltre 180mila migranti: quella che allora la destra definì un’invasione è stata tuttavia gestita – anche se malamente, soprattutto per i profughi – senza aver comportato particolari problemi per il Paese: si è trattato pur sempre di 3 persone ogni 1000 residenti! Lungi dall’invasione, anche quell’anno la popolazione residente in Italia ha continuato la sua curva discendente (tanto che oggi siamo 58,2 milioni dai 60,8 del 2014, migranti regolari inclusi che da un decennio non superano i 5 milioni).

Ma che esista un’alternativa alla mala-accoglienza, ai respingimenti e alla condanna a morte in mare o nelle rotte terrestri, lo dimostra la drammatica vicenda dei profughi ucraini. In fuga dall’invasione russa, in poche settimane in Italia ne sono giunti oltre 170mila. Di questo massiccio arrivo quasi non ce ne siamo accorti. Non solo perché sono extracomunitari europei. La condizione decisiva è stata la decisione della Commissione europea di applicare finalmente e per la prima volta la Direttiva europea 2001/55/Ce, vecchia appunto di oltre vent’anni, con la concessione immediata del permesso di soggiorno temporaneo. Questo ha consentito a queste sfortunate persone di inserirsi più agevolmente nel tessuto sociale italiano (e degli altri paesi europei: sono oltre 5 milioni nell’Ue) avendo pressoché pari diritti degli altri cittadini, in primis la possibilità di cercare e ricevere un lavoro regolare.

La domanda: “perché agli ucraini sì e agli altri no?” non riguarda solo la giustizia, i diritti umani, la consapevolezza di un razzismo sociale e istituzionale, ma molto praticamente la capacità di gestire flussi migratori e accoglienza di fronte al fallimento delle disumane politiche securitarie e di respingimento.

Certo, non è così semplice definire che “tutti” quelli che arrivano in Italia o in Ue possano immediatamente avere una permesso di soggiorno temporaneo rinnovabile - come giustamente avviene per gli ucraini – ma questa esperienza dimostra che si possono e debbono trovare strade alternative al circuito carcerario e concentrazionario creato di fatto per i richiedenti asilo e protezione umanitaria, lasciati per mesi ed anni in situazioni disumane, in attesa di risposte, denegati nei loro diritti, spesso inutilmente espulsi, costretti nei centri di rimpatrio, che altro non sono che galere dove si entra senza aver commesso reati e senza alcun processo.

Costruirne altri, affidati all’esercito, in cui rinchiudere i migranti fino a 18 mesi è un costo umano ed economico tanto criminale quanto inefficace. Come tutti capiscono – per primi Meloni, Salvini e Piantedosi – non può avere nemmeno alcun effetto deterrente per persone che affrontano mesi ed anni di stenti e violenze, e il rischio concreto della morte, per andarsene dal loro paese e raggiungere l’agognata Europa. Che, palesemente, non li merita, anche se ne ha assoluto bisogno.

 

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