La determinazione del salario in Marx - di Francesco Barbetta

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Nell’approccio marxista, l’esercito industriale di riserva e il tasso di accumulazione del capitale sono ciò che determina il salario.

Il più grande contributo di Marx alla teoria dell’occupazione e dei salari è stato quello di collegare la determinazione dei salari al processo di accumulazione del capitale. Anche se nei suoi lavori iniziali ammette che il prezzo del lavoro è determinato come qualunque altra merce, cioè dalla concorrenza tra compratori e venditori, nel suo saggio “Salario, prezzo e profitto” (1865) abbiamo una visione completa di come il salario si comporta durante tutto il processo di accumulazione capitalistica.

In termini concettuali, il salario è costituito dal tempo di lavoro necessario per mantenere e riprodurre la forza lavoro. Come altre merci in un’economia capitalista, la remunerazione della forza lavoro è determinata dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla.

In realtà ci sono due componenti per determinare il prezzo del lavoro. La prima, di carattere fisico, stabilisce il livello minimo per la produzione e riproduzione della forza lavoro. Il secondo, di carattere storico, dipende dal tenore di vita di ciascun Paese in un dato periodo di tempo. Questo approccio è vicino alla classica definizione di Ricardo di “prezzo naturale”.

Un altro aspetto di somiglianza tra Marx e i classici è la fissazione di limiti entro i quali il salario può variare a lungo termine, al fine di mantenere l’accumulazione di capitale. Tuttavia, la sostanza del modo in cui vengono raggiunti questi limiti salariali è completamente diversa. Mentre per i classici la piena occupazione e la teoria della popolazione sono elementi decisivi, nell’approccio marxista l’esercito industriale di riserva e il tasso di accumulazione del capitale sono ciò che determina il salario.

In sintesi, i movimenti tra questi limiti si verificano come segue. Nei periodi di espansione, quando la produzione e l’accumulazione di capitale crescono, la domanda di lavoro cresce più velocemente dell’offerta, quindi i salari tendono ad aumentare. Nei periodi di recessione, l’accumulazione di capitale si riduce, l’esercito industriale di riserva cresce, creando ostacoli alla lotta sindacale e provocando un calo dei livelli salariali. Il rispetto del limite inferiore (almeno per un lungo periodo di tempo) è garantito dal livello di sussistenza richiesto per mantenere la riproduzione della popolazione. Il superamento del limite superiore non avviene, poiché ciò comporterebbe un calo dei profitti e degli investimenti, portando l’economia alla stagnazione.

Marx sostiene che, attraverso l’accumulazione capitalista, le innovazioni tecniche nel processo di produzione tendono a sostituire il lavoro vivo con lavoro morto (o ad aumentare la composizione organica del capitale). Pertanto, man mano che gli uomini vengono sostituiti dalle macchine, riducendo la dipendenza dell’accumulazione dalla forza lavoro, l’esercito industriale di riserva cresce. Quindi, ci sono forze inerenti allo stesso processo di accumulazione del capitale che perpetuano l’esercito industriale di riserva, garantendo la scarsità di lavoro e mantenendo i salari entro livelli compatibili con la continuità dell’accumulazione.

Stabiliti i limiti entro i quali può variare il salario, possiamo esaminare come fluttua il livello di occupazione in relazione alle variazioni del salario. Gran parte di quella che potremmo chiamare la teoria dell’occupazione e dei salari di Marx deriva dal suo discorso all’Associazione internazionale dei lavoratori riguardo alle idee del “cittadino Weston”. Queste idee erano che i sindacati non avevano il potere di influenzare in modo decisivo i livelli dei salari reali, poiché i capitalisti potevano aumentare i prezzi in proporzione maggiore rispetto all’aumento dei salari nominali.

Marx si oppose a questa proposta. Se i capitalisti potessero effettivamente aumentare i prezzi, il limite ai salari dipenderebbe dalla semplice volontà del capitalista e le fluttuazioni dei prezzi di mercato rimarrebbero un enigma indecifrabile. Al contrario, Marx sostiene che la capacità di trasferire le variazioni dei salari ai prezzi dipende da determinate circostanze, legate alla domanda e all’offerta di mercato e al potere di mercato capitalista.

Senza il potere dei prezzi arbitrari, Marx dimostra quali sarebbero gli effetti di una variazione positiva del livello salariale. Poiché i lavoratori spendono il proprio reddito in beni essenziali, un aumento dei salari si traduce in un aumento complessivo della domanda di tali beni. Di conseguenza, secondo Marx, i prezzi di questi prodotti essenziali tenderebbero a salire, compensando i capitalisti che li producono dall’aumento dei salari. D’altro canto, le industrie che non producono beni essenziali non potrebbero beneficiare di un aumento dei prezzi, poiché il prezzo di questi prodotti non aumenta. Pertanto, l’aumento dei salari riduce i profitti di questi capitalisti, costringendoli a spendere una quota maggiore del loro reddito per consumare la stessa quantità di beni di prima necessità.

Un altro effetto negativo si avrebbe sulla domanda di beni non essenziali. Poiché il reddito dei capitalisti che producono beni di lusso si riduce, anche la domanda di questi beni si ridurrebbe. Pertanto, con la riduzione della domanda, i prezzi dei beni non essenziali diminuirebbero. Da ciò Marx conclude che l’aumento dei profitti dei capitalisti che producono beni di lusso non è solo proporzionale all’aumento dei salari, ma è un’azione congiunta dell’aumento generale dei salari, dell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e della caduta dei prezzi degli articoli di lusso.

A lungo termine, questo squilibrio tra i tassi di profitto nei diversi settori comporterebbe uno spostamento di risorse da settori a basso profitto (industria dei beni di lusso) a settori ad alto profitto (industria dei beni essenziali), fino a quando la domanda più bassa nel primo e la domanda più alta del secondo non saranno state adeguate. Dato un livello costante del prodotto totale, si raggiunge l’equilibrio nel mercato dei beni di prima necessità e si ottiene un cambiamento nella composizione della produzione. In questa situazione di equilibrio, i prezzi dei beni essenziali tendono a tornare al livello precedente. Pertanto, la conclusione di Marx è che l’aumento generale dei salari porterà, dopo tutto, niente di meno che ad una caduta generale del tasso di profitto.

Per quanto riguarda il periodo a breve termine relativo all’aggiustamento tra domanda e offerta, i movimenti di capitale e lavoro avrebbero un effetto sulla produzione e sull’occupazione. In altre parole, l’aumento dei salari causerebbe una diminuzione dei profitti dei capitalisti che producono beni non essenziali e, quindi, avremmo un calo della domanda, della produzione e dell’occupazione in questo settore industriale. Al contrario, una riduzione del salario tenderebbe ad aumentare il livello generale di occupazione nel breve periodo. Tuttavia, queste variazioni del livello di occupazione e dei salari nel breve periodo sono assolutamente limitate entro i limiti determinati dall’evoluzione del processo di accumulazione del capitale. Pertanto, l’analisi marxista attribuisce scarsa rilevanza alla politica salariale come regolatore dei livelli di occupazione. Entrambi, l’occupazione e il salario, sono direttamente collegati al ritmo di accumulazione dell’attività economica.

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