Turismo: buona occupazione come opportunità per il territorio - di Cecilia de’ Pantz

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Con la tavola rotonda dello scorso 3 ottobre si è chiuso in Veneto il tour della campagna Filcams del turismo 2023. La giornata si è sviluppata attorno al tema della “buona occupazione come opportunità per il territorio”.

Tutti i media hanno salutato la stagione estiva 2023 - come peraltro le precedenti - con titoli allarmistici sull’impossibilità di trovare addetti stagionali, dipingendo i giovani come apatici, senza voglia di lavorare, sdraiati sul divano. Ma dai dati dell’Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro sui primi sette mesi dell’anno, le assunzioni sono aumentate rispetto allo stesso periodo del 2022 e anche sul 2019, in tutte le aree turistiche.

Il lavoro a tempo determinato è la tipologia di assunzione maggiormente utilizzata, segnale evidente che non si è voluto lavorare sulla destagionalizzazione del comparto. Le assunzioni a tempo indeterminato sono aumentate in modo residuale, con differenze sensibili tra i vari territori. In aumento i contratti a tempo determinato, specie dei giovani e dei lavoratori stranieri, in particolare non comunitari.

In termini di turisti italiani il mercato interno ha avuto una netta flessione del -5,7%, complice l’aumento dei prezzi, ma anche la mancanza di etica del lavoro. In crescita invece gli stranieri, con un aumento del +3,6% nelle 2.766 strutture alberghiere venete e nelle 56.706 strutture extralberghiere.

I lavoratori hanno dovuto fare scelte difficili, abbandonando il settore e migrando verso ambiti più vantaggiosi. Non sfugge a nessuno la difficoltà di rinnovo dei contratti nazionali, la semi-latitanza della contrattazione di secondo livello, la mancanza cronica di alloggi per i lavoratori che arrivano da altri territori e che produce una forte disincentivazione occupazionale.

Prende forma per i lavoratori la consapevolezza dello sfruttamento insito nel settore del turismo, e la pandemia ha energicamente catalizzato questa presa d’atto e la decisione di lasciare. Nel biennio 2021-22, l’abbandono “volontario” di posti di lavoro del settore turistico e dei comparti collaterali è arrivato alla cifra di circa quattro milioni di unità, senza contare la conclusione dei contratti a termine e i numeri del “nero”.

Le persone che lasciano il lavoro, in questi nostri settori, sono in aumento e le ragioni vanno così riepilogate: motivi economici, Ccnl che non sono più attrattivi, paghe basse, necessità di vivere meglio il proprio tempo libero, ma anche perché aumentano le problematiche di salute mentale. E per la ricerca costante di un lavoro migliore. Ed è pur vero che il 57% riesce a ricollocarsi in un altro impiego entro i primi tre mesi e questa mobilità, seppur con cifre più modeste, è sempre stata una costante per il turismo.

L’elemento nuovo - e quattro milioni di dimissioni lo dimostrano - è paragonabile ad un atto di disobbedienza civile, una specie di sciopero bianco contro le condizioni di lavoro nel settore fatto di orari estenuanti, assenza di tutele e diritti, contratti pirata (quando ci sono), lavoro grigio, paghe basse, soprusi e maltrattamenti. Molti lavoratori sono immigrati, costretti ad accettare condizioni di sfruttamento, senza giorni di riposo, o di estrema incertezza, con contratti a chiamata per i turni nei fine settimana con una iniqua paga di 5 euro all’ora.

Secondo l’analisi della Filcams sui dati dei nostri uffici vertenze, ammontavano a circa 36 milioni le ore di lavoro che gli 85mila dipendenti della ristorazione e dei pubblici esercizi veneti non vedono riconosciute a livello contributivo e fiscale. È un dato impressionante di ore di lavoro grigio, che equivalgono a circa il 40% del totale lavorato nel settore e che non sono state coperte, durante il periodo del Covid, da alcun ammortizzatore sociale.

Un lavoratore su due, se potesse, preferirebbe abbandonare, perché non vede una prospettiva di breve, medio e lungo termine per il futuro nel suo ambito d’occupazione. Con il salario odierno la banca non concede nemmeno un prestito per comprare una bici elettrica, per un’emergenza familiare o per altre necessità. Su tutto grava l’alea di non riuscire ad arrivare a fine mese, basta una bolletta un po’ più pesante o un altro minimo intoppo economico perché le difficoltà diventino insormontabili. A lungo termine non ci si può permettere una vita autonoma. Inoltre è aumentata in modo esponenziale l’aggressività nei luoghi di lavoro, ed è salita la percentuale di lavoratori costretti a cure psicologiche o all’uso di psicofarmaci.

 

Vogliamo iniziare un confronto per capire in Veneto cosa è possibile modificare per migliorare le condizioni dei lavoratori, cambiando la narrazione di un lavoro che allontana, specialmente i giovani che hanno fatto le loro prime esperienze occupazionali sperimentando non poche delusioni. Generazioni molto sensibili ai temi della “flessibilità”, dell’etica e dei diritti sul lavoro, più di quanto avveniva nel passato recente, e più di quanto una propaganda negativa interessata voglia far pensare.

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