Uber eats condannata per condotta antisindacale - di Francesco Elia

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Con un ricorso presentato il 14 luglio scorso, Nidil, Filcams e Filt di Milano hanno convenuto in giudizio una delle principali piattaforme di delivery food a livello mondiale, Uber Eats, chiedendo al tribunale di accertarne la condotta antisindacale. Il presupposto dell’azione legale nasceva dal fatto che l’azienda, a giugno, aveva manifestato l’intenzione di lasciare il nostro paese, così come poi effettivamente avvenuto a luglio. Prima che l’azienda lasciasse l’Italia, alla piattaforma erano iscritti circa 8mila rider, di cui la metà pienamente attivi. I ciclofattorini, messi alla porta dalla decisione aziendale, avevano ricevuto la notizia con una mail, a giugno, senza il rispetto di alcun periodo di preavviso, rimanendo quindi senza lavoro e senza alcuna forma di assistenza. Tutto ciò è avvenuto in mancanza di comunicazioni alle organizzazioni sindacali dell’intenzione di chiudere la propria attività economica.

Il giudice del lavoro del Tribunale di Milano, Luigi Pazienza, sul ricorso ex art. 28 L. 300/1970, il 28 settembre scorso ha deciso di “dichiarare la natura antisindacale della condotta di Uber Eats Italy srl, consistente nella omissione della procedura di consultazione per la cessazione dell’attività del food delivery nel territorio nazionale, risolvendo tutti i rapporti di lavoro per i quali è stata prevista la disconnessione dalla piattaforma e la conseguente illegittimità dei recessi comminati”.

Il giudice ordina così alla società di avviare con le categorie sindacali ricorrenti le procedure e il confronto previsto in caso di cessazione di attività economica. E sempre nella sentenza si ordina ad Uber Eats di adoperarsi affinché tutti i suoi ex ciclofattorini vengano resi edotti del contenuto della decisione, attraverso la pubblicazione non solo sul sito aziendale ma anche sui principali social e sulle maggiori testate giornalistiche nazionali.

Una sentenza che quindi equipara i rider ai lavoratori subordinati nelle procedure che regolano la fine del rapporto di lavoro. Una interpretazione che accoglie le rivendicazioni portate avanti in tutti questi anni a livello sindacale. Il giudice Pazienza rileva anche un concetto molto forte: cioè “se una società di grosse dimensioni decide di andare via dall’Italia e di lasciare a casa migliaia di lavoratori senza informare le organizzazioni sindacali, è evidente che quella società non ha alcuna considerazione del ruolo che il sindacato deve svolgere”. Parole molto nette e forti.

Il giudice spiega: “Una multinazionale che intende chiudere una sede o un reparto, con cessazione dell’attività e licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50, è tenuta a comunicare per iscritto le sue intenzioni ai sindacati, alle Regioni, al Ministero del lavoro e dello sviluppo economico e all’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro”. La comunicazione dovrà avvenire 180 giorni prima per “elaborare un piano che limiti le ricadute occupazionali”. Per il giudice, quindi, tale normativa deve essere applicata anche ai rapporti di lavoro eterodiretti, nonostante Uber si fosse difesa sostenendo che la propria base occupazionale fosse limitata ai soli 49 lavoratori assunti con rapporto di lavoro subordinato.

Questa è la sintesi di ciò che è accaduto nei mesi scorsi. Evidentemente, le conclusioni a cui si è giunti in questa vicenda, sicuramente positive per la nostra organizzazione, aprono scenari inesplorati. Sarà ad esempio molto interessante capire se l’impostazione molto avanzata e articolata tenuta dal giudice Pazienza sarà seguita nelle future pronunce della magistratura in altre sedi.

Riflessioni possono essere fatte rispetto all’andamento economico delle piattaforme. La fuga di Uber Eats dimostra che l’andamento di queste aziende, che basano il proprio business solo sul contenimento dei costi con l’utilizzo di manovalanza iper-sfruttata e senza diritti, non ha futuro. Sono scelte economiche miopi che si basano sulla ricerca del profitto a breve, senza nessuna forma di programmazione per il futuro.

 

Per quanto ci riguarda, come organizzazione sindacale, ci dobbiamo porre l’obiettivo di arrivare a sindacalizzare maggiormente i lavoratori delle piattaforme digitali. Non è certo sufficiente una vittoria in tribunale, seppur molto importante, a permetterci di rappresentare al meglio questi lavoratori. Occorre un impegno costante, che si realizzi quotidianamente e che sappia anche coniugarsi con quelle differenze culturali che innegabilmente ci sono con questi lavoratori. L’impegno di Nidil Cgil deve essere proprio indirizzato a questo e alla strutturazione di un nuovo modo di fare sindacato, che abbia radici ben piantate nella nostra storia, ma che sappia includere forme di lavoro nuove.

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