Salute e sicurezza: facciamo (ri)entrare la Costituzione nei luoghi di lavoro - di Giulio Fossati

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Come tutti gli anni, dopo il 28 aprile, giornata mondiale per la sicurezza nei luoghi di lavoro, e prima della settimana della sicurezza nei luoghi di lavoro, che si svolge nella quarantatreesima settimana dell’anno (l’ultima di ottobre), l’8 ottobre si è celebrata la giornata nazionale delle vittime degli incidenti sul lavoro.

La giornata si è aperta, come di consueto, con il messaggio del Presidente della Repubblica, che auspica un miglioramento delle condizioni del lavoro per provare a contrastare quella che possiamo tranquillamente definire una mattanza silenziosa.

Siamo stufi dei bei discorsi, dei buoni propositi e dei forti e lunghi applausi, in particolare di quelli parlamentari, quando il Presidente della Repubblica invita la politica a occuparsi del diritto del lavoro, del lavoro povero, della precarietà e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Siamo stufi di una condizione del lavoro che quotidianamente produce malati, feriti e morti.

Dobbiamo intervenire su un modello che abbiamo ormai misurato, e che nonostante sia dotato di una buona legislazione è azzoppato dalla mancanza cronica di controlli ed è pieno di adempimenti meramente formali della normativa.

Non esistono né morti bianche, né sfortuna, ma mancate o sbagliate valutazioni dei rischi, mancata o insufficiente informazione e formazione, sistemi di gestione che anziché tutelare la salute e la sicurezza mirano al profitto, attraverso una becera idea di produttività.

Le lavoratrici e i lavoratori subiscono, limitati da precarietà e da un diritto del lavoro che non li tutela, rischi e pericoli che non conoscono o che sottovalutano. Subiscono interventi legislativi e, più recentemente, provvedimenti della magistratura che li caricano di responsabilità, senza godere delle vere tutele che permetterebbero loro di esercitarle davvero.

Abbiamo la necessità di certificare la condizione di rischio di lavoratrici e lavoratori, e l’esigenza di certificare la formazione che viene espletata, auspicabilmente da enti accreditati di qualità che garantiscano una formazione di qualità. Abbiamo bisogno di far funzionare la catena di responsabilità, che va dal datore di lavoro ai dirigenti e ai preposti, perché la vigilanza nei luoghi di lavoro inizia da lì. Attraverso quanto stabilito dal sistema di gestione e dal Dvr, in cui le figure istituzionali del sistema della sicurezza, datore di lavoro, medico competente, Rspp, Aspp con la consultazione del Rls, promuovono la prevenzione aziendale. Dobbiamo arrivare ad inserire la cartella sanitaria del lavoratore e della lavoratrice nel fascicolo sanitario del cittadino, per metterla effettivamente nelle disponibilità del cittadino/lavoratore, del medico di medicina generale e del sistema socio sanitario, in quanto è una condizione di salute che va a gravare sul modello pubblico di prevenzione.

Insomma abbiamo un impianto complesso e articolato che ci permetterebbe di promuove la salute nei luoghi di lavoro, ma il disimpegno della politica e l’arretramento sui territori delle autorità adibite alla sorveglianza, la mancanza dell’università e delle scuole di specializzazione nel formare figure utili a garantire i fondamentali diritti costituzionali, la sbagliata idea di profitto, l’eccessiva precarietà, generano superficialità, ignoranza e vittime. Quindi non c’è molto da celebrare, ma mettersi al lavoro per tutelare le lavoratrici e i lavoratori da questa mattanza che non può più rimanere così silenziosa.

 

Ma c’è un altro ingrediente indispensabile affinché il cambiamento possa avvenire: è l’indignazione dei lavoratori e delle lavoratrici, perché tutto questo è davvero inaccettabile, ma senza la loro partecipazione è molto più difficile contrastare l'insicurezza.

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