Ri-Maflow, anime resistenti a Milano - di Frida Nacinovich

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E' un po’ come in “The take”, con gli operai argentini che riconquistano le loro fabbriche, travolte dal collasso economico finanziario del paese. La storia di Ri-Maflow potrebbe diventare un film, con quel mix di sentimenti, l’angoscia, il coraggio, la lotta, la speranza, non ultima l’amicizia, che ti conquista, ti rapisce e ti fa restare inchiodato alla poltroncina del cinema fino ai titoli di coda, con la voglia di poter vedere presto un sequel.

Ri-Maflow sono tre capannoni industriali alla periferia sud ovest di Milano. Soprattutto Ri-Maflow è i suoi lavoratori, protagonisti di una pagina di resistenza collettiva. Sempre uniti, quando c’era Maflow Spa, poi Maflow-Boryszew, e quando gli spazi che ora ospitano attività di riciclo e produzioni a chilometro zero erano appena stati svuotati da macchinari e perfino dai cavi elettrici.

Questa volta i sogni non sono rimasti desideri, oggi quei 28mila metri quadrati recuperati al lavoro sono la dimostrazione che sì, si può fare. Ri-Maflow è anche il cuore pulsante di Fuorimercato, associazione nata per collegare città e campagna in nome della resistenza ai ricatti imposti dalla grande distribuzione organizzata. La cooperativa Ri-Maflow occupa una ventina di persone, mentre sono quasi un centinaio gli artigiani che lavorano nelle botteghe ricavate negli spazi ex industriali, coordinati dall’associazione Occupy Maflow, nata appunto sull’esempio delle fabbriche argentine.

Per capire la forza di Ri-Maflow bisogna lasciarsi prendere per mano da Massimo Lettieri, che come un Virgilio operaio ci accompagna lungo la storia di questo ultimo periodo. “Una decina di anni fa c’era la Maflow Spa, punta di diamante del settore automotive, con clienti come Bmw, Scania e Volkswagen. Lo stabilimento di Trezzano occupava più di 300 persone”. Poi, all’improvviso, nel 2009, la doccia fredda: la Maflow Spa viene commissariata dal Tribunale di Milano.

“Lo ricordo come fosse ora - dice Lettieri, che era delegato sindacale - appena uscito da uno dei periodici incontri con l’azienda, una mail mi avverte che Maflow ha portato i libri in tribunale. Come era possibile? Avevamo trenta interinali, e lavoravamo su tre turni. La Camera di commercio di Milano conferma che la nostra fabbrica è in liquidazione. Facciamo sciopero, Fiom Cgil e sindacati di base insieme, c’è da difendere il lavoro”.

Quando Bmw sospende le commesse, gli operai si organizzano in turni sul lavoro rimasto. “Stavamo in fabbrica a rotazione - ricorda Lettieri - Nel mentre abbiamo occupato la palazzina di ingresso del sito produttivo, una sorta di checkpoint, chiunque volesse entrare doveva passare da noi. Alla fine si fermavano volentieri anche i dirigenti”. Le difficoltà hanno pure la capacità di unire tutti, sia quelli con maggior coscienza sindacale sia quelli più tiepidi. “Siamo stati in presidio sotto la Regione, davanti alla Stazione centrale, abbiamo bloccato un binario, organizzato un grande corteo con tutte le fabbriche in crisi, manifestato difronte alla concessionaria Bmw, al consolato tedesco, al ministero dello sviluppo economico. Da un lato portavamo avanti la protesta, dall’altro facevamo feste e concerti per tenere alto il morale. Abbiamo organizzato anche magnifici tornei di ping pong”.

Nell’estate 2010 arriva l’imprenditore polacco Boryszew, che compra la Maflow di Trezzano sul Naviglio all’asta e decide di tenere soltanto 80 operai. “Finisce che dopo due anni i polacchi lasciano il sito, cercando di creare una rottura fra i lavoratori in produzione e i 220 rimasti a casa”. Mentre la Maflow-Boryszew muore, una quindicina di ex dipendenti accarezza l’idea di costituire una cooperativa. “Al centro per l’impiego abbiamo frequentato corsi per l’autoimprenditoria”.

Nel dicembre 2012 i macchinari e gli ultimi residui della Maflow prendono la via della Polonia. Si volta una pagina. “Abbiamo costituito la cooperativa Ri-Maflow, l’associazione Occupy Maflow, e siamo partiti”. Da operaio saldatore, Massimo Lettieri ha imparato a fare l’amministratore, il coordinatore, il progettatore economico. Ci sono falegnami, fabbri, tappezzieri, artisti. Non c’è un affitto da pagare, ma si condividono le utenze bollette alla mano, si scambiano le competenze e si crea comunità. Il vero core business della fabbrica recuperata è il riciclo e il riuso delle materie di scarto. Il dna è quello del mutualismo delle società di mutuo soccorso, che già alla fine dell’Ottocento venivano messe in piedi dalle leghe dei socialisti.

“Oggi stiamo traslocando – conclude Lettieri – grazie a sostenitori, oltre e a un mutuo bancario, abbiamo comprato un capannone poco distante. Dopo sei anni ritroviamo la legalità che ci permette di progettare il futuro che ci meritiamo. La lotta paga”. Arrivederci con un bicchierino di ‘Amaro Partigiano’ di Luca Federici, anima resistente, che sostiene con il suo lavoro sia Ri-Maflow che un altro progetto storico e culturale di gran valore come gli Archivi della Resistenza di Fosdinovo, in Lunigiana.

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